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Nicolò Dal Fabbro: dentro la realtà. Sulla mia generazione – seconda parte [#3]

| 16 Marzo 2023 | ATTUALITÀ, INTERVISTA

Se nella prima sezione dell’intervista abbiamo parlato di lavoro e traguardi professionali (Intervista a Nicolò Dal Fabbro, parte prima), adesso è il momento di approfondire i temi più vicini al sentire di Nicolò Dal Fabbro, dottorando in Scienze e Tecnologie dell’Informazione, anche dal punto di vista interiore.

“Sulla mia generazione” è infatti un format in cui si parla di vita, perché è questo ciò che attrae il lettore: da una parte le visioni sulle esperienze vissute e l’esistenza in generale, con i momenti di sconforto e quelli di divertimento, le contraddizioni e le battaglie vinte; dall’altra le opinioni sul mondo, sulla politica, sull’attualità e sul futuro.

Nicolò, nello specifico, è sempre stato un grande osservatore. Gli piace vivere la gente e provare esperienze nuove. Vedendolo catapultato da un giorno all’altro in un paese straniero, la mia prima domanda non poteva che cercare questa direzione.

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Ti è sempre piaciuto guardare la gente. Come trovi le persone a Filadelfia nel mondo accademico e fuori?

Nel mondo accademico ho trovato persone interessanti e amichevoli. E anche al di fuori devo dire che riesco a passare il tempo con persone con cui mi trovo bene. La percezione è che qui abbiano tutti voglia di conoscere gente nuova. Mi era stato dato il mito dell’individualismo americano: tutti lavorano e nessuno ha tempo per stare in compagnia. Un po’ è vero, nel senso che lo stile di vita è diverso dall’Italia e dall’Europa, ma non è giusto ridurre tutto a degli stereotipi. La cosa più diversa è la socialità. Qui non vai a prendere l’aperitivo con la stessa facilità dell’Italia.

Da un punto di vista sociale c’è qualcosa che ti ha colpito di Filadelfia?

Forse sì, forse una cosa c’è, e riguarda la disparità tra bianchi e neri. Qui più del 40% della popolazione è nera. E il quartiere dell’Università dove sorge il campo, che si chiama West Filadelfia, è un quartiere nero. Ci sono spesso delle proteste perché le università si espandono e modificano l’aspetto del quartiere. Tutto questo flusso di studenti, professori e visitatori incrina le abitudini e gli equilibri della città. Pensiamo agli appartamenti da dare in affitto, alla vita universitaria, ai diversi stili di vita…

Basta poi guardarsi intorno e si realizza facilmente che nei servizi più umili, nei fast food, nella ristorazione e nelle pulizie sono quasi tutti neri. E questo è strano, dà veramente l’impressione di systemic racism (razzismo sistemico). Se leggiamo i dati legati all’istruzione, il divario è ancora più notevole. I neri sono più del 40% ma meno del 2% degli studenti dell’Università della Pennsylvania è di etnia afroamericana.

È un mondo complesso, a tratti contraddittorio, e sicuramente diverso dal nostro sia nei pregi che nei lati negativi. Per tornare al tuo lavoro, che cosa sogni per il tuo futuro? In quale posto ti vedi?

Così d’istinto ti rispondo che mi piacerebbe portare le mie competenze sia nell’industria che nella ricerca. Entrambe le strade sono affascinanti. E il mio sogno, anche se ancora non è completamente definito, è avere un impatto nella società che possa essere di aiuto e sostegno nella vita delle persone. Riguardo al luogo dove vivere, invece, vorrei starmene in Italia o in Europa. Mi piacerebbe tornare nella mia Venezia, questo sì, ma so che prima avrò bisogno di viaggiare e vivere esperienze.

Nicolò Dal Fabbro nel suo ufficio a Filadelfia

Come ho tenuto a far sapere all’inizio dell’articolo, sei una persona creativa con degli interessi che non sono unicamente legati al mondo scientifico. Ti piacciono libri, cinema e la tua curiosità intellettuale ti spinge un po’ dappertutto. Come vivi le tue diverse anime?

Vivo che…non so come spiegarti, ma considero l’interesse per la letteratura un’ancora di salvezza per chi sono nel profondo. Letteratura è sia leggere sia a volte scrivere. Scrivo ancora le mie cose, se vuoi saperlo, e ritengo questa mia passione la definizione più vera di me stesso. Nel mondo scientifico non trovo la realizzazione totale della mia personalità. È impossibile. Ho anche dell’altro dentro di me. A volte può capitare persino che mi riconosca di più nell’ambito letterario e cinematografico. È così. Cinema e libri sono le mie due passioni. La letteratura forse la intendo come suggestione…e vola verso la poesia…

Quali sono i primi libri e film che ti vengono in mente?

A me piacciono molto le poesie. Uno dei miei poeti preferiti e che mi ha dato più spunti nella vita è il greco Kostantinos Kavafis. Kavafis ha una poesia molto semplice ma che mi ha sempre colpito per la sua dolcezza.

Come romanzi ce ne sono tanti: Il castello di Kafka, America, sempre di Kafka (e lui in America non c’era mai stato) e altri ancora. Sullo stile americano, Edward Bunker. I suoi libri sono sull’individuo e le sue ambizioni. Di solito parla di criminali, ma che lavorano per se stessi perché la criminalità è l’unico modo che hanno per muoversi nella società. Cane mangia cane è il suo romanzo che mi è piaciuto di più.

I miei film preferiti, invece, sono Blade Runner e Taxi driver. In Taxi driver c’è un tizio disadattato, un tassista, che non riesce mai a dormire, osserva la società ed è sempre solitario. Secondo me sono situazioni in cui ci si può trovare ogni giorno, anche se in apparenza sembrano assurde. E anche se il film è vecchio, temi presenti in alcune scene come l’alienazione da tv, politica e news sono sempre attuali. Oggi magari l’alienazione è causata dai social network, ma il concetto è lo stesso.

Blade runner mi piace per l’atmosfera e per il modo in cui parla di vita e morte. In pratica ci sono questi replicanti che vengono progettati con pochi anni di vita ma poi si ribellano perché vogliono vivere più a lungo, capendo di essere programmati con una breve durata. Harrison Ford è il cacciatore di replicanti ribelli, li deve uccidere. Poi però si innamora di una replicante, e nel film anche lui stesso avrà il dubbio di essere un replicante. È molto psicologico. Anche ai replicanti, poi, per confondere le cose, vengono messi dei ricordi. E Harrison Ford, che interpreta il personaggio di Rick Deckard, fa loro dei test per vedere se sono replicanti oppure umani. Veramente bello, mi è venuta voglia di rivederlo…

Ti sei mai sentito triste in alcuni momenti della vita? Se potessi tornare indietro nel tempo, quali consigli diresti al te stesso triste per cercare di vivere con più leggerezza?

Negli ultimi sei o sette anni è stato raro trovarmi in momenti di sconforto. Faccio fatica a trovarmi in situazioni così, forse perché sono da anni in una relazione molto bella e stabile. Un altro motivo che mi ha tenuto lontano dalla tristezza è stato il mio percorso di studi e lavorativo. Voglio dire, ho fatto e sto facendo una cosa che mi piace. Quando sei dentro una strada con una chiara destinazione questo ti aiuta ad avere uno scopo, e quando hai uno scopo è più facile tenere la testa impegnata su obiettivi reali.

Che cosa diresti, invece, alle persone vicino a te quando sono tristi?

È difficile rispondere. Personalmente penso che non sia così complicato essere felici. Penso che ci siano dei modi facili per godersi la vita e non essere tristi. Però è facile a dirsi. Sono io a parlare e mi riferisco alla mia esperienza. È il mio punto di vista ed è solo uno fra i tanti. Il tema è molto complicato. Più provo a dare una risposta più mi sembra di andare fuori strada.

Qual è la tua idea di felicità?

Per me la felicità è stare con le persone a cui voglio bene e che mi vogliono bene. È trovarsi in sintonia con qualcuno e condividere sensazioni pure. I momenti in cui sento che mi piace vivere sono anche quelli in cui provo emozioni forti, ad esempio quando mi commuovo per qualcosa come salutarsi o darsi un addio…non è per forza una cosa brutta, è una cosa che accade. E quando riesco a viverla con consapevolezza allora mi commuovo, perché vuol dire che sto attraversando un momento intenso e che sono vivo. L’ultima volta che mi è successo è stato quando se ne sono andati via i miei due coinquilini qui a Filadelfia. Lì per lì non lo avevo realizzato. Poi un giorno ho capito cos’è successo e mi sono commosso. Mi sono lasciato andare e ho sentito l’intensità dell’esistenza.

Che bello, capita anche a me nei momenti in cui la vita è più veloce del tempo per capirla. A volte piango e non so nemmeno perché lo sto facendo. Forse è soltanto perché un evento sa essere così intenso che è ingiusto cercare di colpirlo mentre accade. A me è successo e succede ancora tutte le volte che ripenso al mio anno a Venezia, quando ci siamo conosciuti. È stato fortissimo. Che ne dici, prima di chiudere l’intervista ti andrebbe di raccontare che cosa rappresenta per te Venezia, la tua città?

Sì, certo. Sono passati quasi dieci anni, comunque, ma anche per me quello è stato uno degli anni più intensi, se non il più intenso di tutta la mia vita. Sono cambiato tantissimo e ho sentito, nel mentre, che stavo cambiando. Da un punto di vista emotivo sono diventato molto più positivo. Ho imparato a lasciarmi andare ed essere più libero, e infatti dopo poco ho iniziato la mia relazione con Petra.

E Venezia era sempre lì, la mia città. Sì, ero consapevole che fosse bellissima. Ci vivevo in modo involontario, ovviamente, ma al tempo stesso ero consapevole che fosse un posto incredibile. Era un trip. Un sacco di sensazioni, un sacco di trip. E quei colori, bellissimi. Mi ricordo io e te quando andavamo a vogare insieme nei pomeriggi…i tramonti, l’acqua salmastra, l’odore del sale, l’umidità, le giornate d’inizio e fine estate in mezzo all’acqua.

Da sinistra: Edoardo, Nicolò e il sottoscritto a diciott’anni

Se mi domandi che cos’è per me Venezia mi viene da dirti questo, perché io sono nato e cresciuto in questa città. Venezia è la mia vita. Mi chiedono spesso com’è vivere in un posto simile. Faccio fatica a rispondere. Semplicemente non posso sapere com’è crescere altrove perché non ci sono cresciuto.

Ultimamente…negli ultimi anni mi sembra molto piccola. E avendo vissuto a Venezia durante la pandemia forse è veramente diventata così. Nonostante tutto per me rimane un sogno, la destinazione finale della mia vita. E lo dico nonostante tutto: i problemi, il soffocamento turistico, lo spopolamento. Proprio per questo e anche per questo rimane una sorta di destinazione ultima, di sogno. Non lo so ma è come se non sarò mai più in grado di innamorarmi di altri luoghi. Sono stato in tanti posti ma ho l’impressione che non troverò mai nessun’altra meta che rappresenti meglio la mia destinazione finale.

TAG: sullamiagenerazione
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