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L’ostilità dei progressisti verso la provincia lombarda

| 16 Febbraio 2023 | POLITICA

Le ultime elezioni regionali della Lombardia mostrano una sempre più distanza politica tra la città e la provincia. A Milano ha vinto di circa 10 punti il candidato del centrosinistra Pierfrancesco Majorino. L’esponente dem ha vinto anche nei capoluoghi di Bergamo, Brescia e Mantova. La provincia dice l’esatto opposto, con una netta prevalenza di Attilio Fontana. Maggiormente nella fascia alpina e prealpina, ma ora anche nell’area padana (specie nei piccoli comuni), la destra domina sulla Lombardia. I circa 20 punti di distacco tra i due maggiori candidati dice molto.

La sinistra, sia quella liberal che appoggiava Majorino (che comprende anche Sinistra e Verdi e il Movimento 5 Stelle), sia quella di classe che proponeva Mara Ghidorzi di Unione Popolare (1,5% dei consensi), fuori dalle maggiori città della regione è debolissima. Nonostante la bassa affluenza alle urne, le destre hanno ottenuto buone percentuali in tutte le province lombarde, con picchi bulgari in alcuni comuni minori.

Le province lombarde, specie quelle settentrionali, sono delle roccaforti delle destre. Eppure per decenni hanno guardato al cattolicesimo sociale della sinistra democristiana e prima dell’avvento del fascismo avevano tanti lavoratori iscritti a partiti e sindacati socialisti, oltre che a quelli cattolici. Un libro come “La Brianza in un secolo di Storia d’Italia” di Emilio Diligenti e Alfredo Pozzi (Tesi, 1980) mostra come la provincia di Monza sia stata una roccaforte dell’antifascismo prima dell’instaurazione del regime mussoliniano. Oggi il vento è cambiato.

Le classi operaie e artigiane delle province lombarde o non votano o votano a destra. Questi ultimi passano con disinvoltura da Forza Italia alla Lega fino a Fratelli d’Italia da un’elezione all’altra. Alcuni possono aver fatto persino una “prova” con i 5 Stelle o con il Pd di Renzi alle europee del 2014, ma il loro astio verso ciò che è “sinistra” non è mai scemato. Nella Prima Repubblica la provincia lombarda votava Democrazia Cristiana. Era la DC di uomini legati al cattolicesimo sociale come Mino Martinazzoli, Piero Bassetti, Giuseppe Guzzetti, e con uno stretto legame con Coldiretti, Confartigianato e Cisl.

Oggi i figli e nipoti di quei lombardi votano a destra. Possono essere anche iscritti ai sindacati, se lavoratori dipendenti (spesso la Cgil), o alle organizzazioni di categoria degli autonomi, ma non hanno contatti con la dottrina sociale della Chiesa, men che meno con la lotta di classe. Il declino del cattolicesimo sociale e il tradimento degli eredi dei comunisti e socialisti (confluiti nell’attuale Pd) alla lotta di classe ha portato i ceti medi e popolari della provincia prealpina a detestare tutto ciò che è riconducibile al termine “sinistra”.

La sinistra liberale si è concentrata sempre più sui temi dei diritti civili. Questo l’ha rafforzata nelle grandi città, su tutte Milano, passata negli ultimi 20 anni da roccaforte del berlusconismo a feudo del Pd. Milano vota progressista e i suoi cittadini, specie i più giovani, sono particolarmente attenti alle tematiche civili. Che siano figli della borghesia o delle classi popolari (italiane e straniere), i giovani milanesi sono orgogliosi di vivere in una città “europea”, molto sensibile nei confronti delle varie minoranze, che possono essere più tutelate rispetto a una provincia considerata troppo conservatrice di fronte ai cambiamenti della società.

La Lombardia sta vivendo una fase storica che si può riscontrare in tante zone d’Europa, dalla Francia fino all’Ungheria. Mentre la metropoli vede prevalere le forze progressiste, a Parigi come a Budapest, la provincia vede un progressivo rafforzamento della destra. L’Europa sta virando a destra, con le capitali e le grandi città a fare da contrappeso a sinistra. Si tratta però di una sinistra “borghese”, attenta in primis a difendere i ceti benestanti e i quartieri altolocati, percepiti come primo fattore di sviluppo della città, che devono essere sempre più attrattive per i turisti, meglio se facoltosi.

I sempre più pochi cittadini milanesi che si recano alle urne apprezzano il modello Beppe Sala. Gli elettori sono mediamente anziani e benestanti (le percentuali di affluenza al voto sono proporzionali all’età e al reddito). Tra i tanti giovani precari residenti in città (molti di loro non hanno ancora la residenza a Milano e quindi non hanno potuto votare), quelli che si sono recati alle urne hanno scelto lo scorso anno Sala e quest’anno Majorino. Non per il loro modello economico di città e regione, palesemente schierato dalla parte dei grandi centri privati del potere economico (lo dimostra la candidatura per Majorino, bocciata dagli elettori, del virologo e ras della sanità privata Fabrizio Pregliasco), ma per la loro attenzione ai diritti civili, messi ogni giorno in discussione da diversi esponenti della destra.

Quel che resta delle forze di sinistra o viene emarginata e ridotta all’impotenza (vedi Unione Popolare e gli altri partiti socialisti e comunisti) o ottiene della visibilità e dei posticini di potere stringendosi al Pd come Linus con la sua copertina. Forze come Sinistra Italiana e Verdi fanno la parte di quelli “un po’ attenti alle tematiche sociali e ambientali” della coalizione con a capo i Democratici. Queste forze riescono a racimolare qualche consenso in città, ma diventano praticamente inesistenti in provincia. Anche per prese di posizione con cui si rendono ostili alle popolazioni della Lombardia più rurale. E la maggioranza dei lombardi vive in provincia e non nei capoluoghi.

Un esempio sono gli attacchi di alcuni militanti di sinistra, perlopiù milanesi, verso riti storici di tanti paesi lombardi, come i falò di Sant’Antonio e della Giubiana. Si tratta di cerimonie molto sentite dagli abitanti dei rispettivi paesi, che a fine gennaio bruciano delle montagne di legna o il fantoccio di una vecchia in piazza, come rito propiziatorio per l’anno a venire. I falò vengono spesso accompagnati da piatti tipici come la polenta, risotto alla monzese, frittelle e vin brulé, spesso serviti dalle Pro Loco o dagli Alpini locali. Lo stesso Majorino, che in campagna elettorale si è fatto immortalare con gli Alpini in occasione di un falò di Sant’Antonio, è stato ingenuamente attaccato da militanti di Unione Popolare. Majorino ha fatto una mossa comprensibile per ottenere consenso in provincia, dove anche i pochi elettori di sinistra sono legati alle tradizioni locali.

L’Italia è un Paese di campanili, mai dimenticarlo. Attaccare cerimonie endemiche di un territorio è sempre un buon modo per perdere possibili consensi tra i suoi abitanti. Per alcuni ambientalisti queste cerimonie sono da abolire per via dell’inquinamento, nonostante nella Pianura Padana sia infinitamente inferiore a quello scaturito dai tanti stabilimenti che vanno dal Piemonte al Friuli. Altra protesta ha visto sparuti militanti animalisti attaccare lo spiedo bresciano, piatto storico che vede carni rosse e bianche cotte a fuoco lento. Questi animalisti in provincia di Brescia hanno riscosso perlopiù critiche, come era prevedibile. Nicchie di militanti remano contro, spesso inconsapevoli, a un ritorno delle battaglie sociali nei piccoli centri della Lombardia, dove la stabilità sociale è anche lì, nonostante il diffuso benessere dei decenni precedenti, sempre più a rischio.

I lombardi della provincia stanno vivendo un timido melting pot, non paragonabile a quello presente nei maggiori capoluoghi, ma restano molto orgogliosi delle proprie tradizioni culturali e culinarie. Spesso tendono a guardare con ostilità chi le denigra o le mette in discussione, sia esso uno “straniero” o un autoctono “dissidente”. Contestare riti aggregativi di paesi in cui la vita sociale si sta sempre più indebolendo è un errore con due conseguenze.

La prima è che si mettono in discussione elementi culturali che danno vitalità, rafforzando la comunità, a borghi che rischiano di divenire dormitori a metà strada tra la fabbrica e il cento commerciale più vicino. La seconda è che si crea un’idiosincrasia tra gli abitanti della provincia lombarda a ciò che è percepito come “sinistra”, in tutte le sue sfaccettature. Non più i comunisti, mai tanto amati tra Varese e Brescia nemmeno ai tempi d’oro del Pci, ma i “sinistrati”, i “gretini”, i “fucsia”, i “radical chic”, i “fighetti di Milano”.

Il divario tra capoluogo e provincia sta aumentando. In pochi chilometri si passa dai bar gay-friendly di Porta Venezia e dai kebabbari di Turro al Palio degli Zoccoli di Desio, ai falò della Giubiana in Brianza e al Festival della Cazoeula. Su queste tradizioni, presenti in Lombardia ben prima della nascita della Lega, il partito di Bossi e ora di Salvini ha sempre cercato di mettere il proprio cappello, aiutata involontariamente anche da elementi di sinistra.

Chi vive a Milano spesso è arrivato lì da altrove. Chi dall’altra parte del Mediterraneo, chi dal Mezzogiorno, chi dalla provincia lombarda. La ragione principale dei nuovi arrivi in città è sempre il lavoro. Molti però giungono anche per ragioni legate al proprio orientamento sessuale, politico, culturale. Questi nuovi milanesi devono guardarsi bene da chi li invita a guardare dall’alto al basso chi sta in provincia. Curiosamente, taluni che si dichiarano fortemente sensibili su temi quali xenofobia e razzismo, mostrano poi un’intolleranza verso coloro che definiscono “bifolchi”, “paesanotti”, “montanari”.

La provincia lombarda oggi vota a destra, ma domani potrebbe non essere più così. Sicuramente se certe voci insisteranno a denigrare, sminuire o voler combattere usi e costumi che sono nel bagaglio culturale di quel territorio, il consenso di questa destra identitaria a parole resterà forte sotto le Alpi.

TAG: Attilio Fontana, brescia, brianza, destra, elezioni 2023, elezioni regionali, feste popolari, Lombardia, Milano, Pierfrancesco Majorino, Province, sinistra
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