Non molto tempo fa, passeggiando per Milano in una dolce sera di mezza estate, mi sono ritrovato a conversare con un caro amico di mia cugina. Non ricordo l’argomento della discussione. Ciò che ricordo erano il ritmo delle sue parole e una sincerità mai vista prima. Il ragazzo riusciva a far fluire i suoi pensieri senza risultare mai banale, a volte provocando a volte compiacendo. E se ad un primo impatto mi è sembrato ruvido come tante anime del Nord Est, nel tempo non è poi stato difficile farmi colpire dal suo lato artistico, pieno di colore, accostamenti di idee contrastanti, fantasia, sensibilità e, soprattutto, desiderio di comunicare il mondo attraverso uno sguardo sempre critico.
Gian Maria de Nittis è un pittore di ventisette anni, abita a San Vito al Tagliamento (PN) e lavora nel web marketing a Pordenone. Nella vita è grafico, con laurea in Grafica a Venezia, e si occupa di social media, siti web e tutto ciò che ha a che fare con il marketing online. Non capisco quanto sia consapevole di possedere un dono così grande, forse perché per lui dipingere è normale, ma la timida malinconia che ha nel definirsi un artista e nel dirmi che “spesso è difficile vivere con l’arte e avere il tempo e l’ispirazione necessari” mi spinge ancor di più a volerlo conoscere e raccontare.
Qui il profilo Instagram del pittore: https://www.instagram.com/gengioz/
Se dovessimo partire dalle origini, Gian Maria, quando nasce il tuo amore per la pittura?
Quando ero piccolo. Io da piccolo ero molto bravo a disegnare, ero molto precoce. Ho sempre lavoricchiato col disegno e fatto cose per conto mio, ma non ho frequentato l’artistico, bensì lo scientifico…e nemmeno per interesse, ma forse soltanto per avere una cultura un po’ più ampia. Poi, all’ultimo anno del liceo ho deciso cosa fare e sono entrato nel mondo della grafica. Non ho scelto un percorso accademico per diventare pittore. Ho trovato il compromesso, perché è difficile campare con l’arte unicamente, e per me era un compromesso giusto. Con il tempo, infatti, mi sono appassionato al lavoro, anche se questo, unito alle incombenze della vita, ogni tanto fa sì che l’arte si trovi un po’ da parte, come negli ultimi mesi.
Tornando al mio modo di relazionarmi al disegno e all’arte penso che sia stato del tutto spontaneo. Non cercavo di comunicare dei messaggi o di rappresentare qualcosa in particolare. Ero piccolo, e da piccolo le cose le fai e basta, senza il bisogno di chiederti cosa ti piace e cosa no. Poi nel tempo il mio approccio è cambiato, perché d’altronde sono cambiati gli obiettivi. Quando ho capito che piacevo agli altri non ho più disegnato soltanto per me stesso o seguendo l’istinto, ma anche per stupire, creare il bello e progredire in creazioni più complesse e originali.
Adesso non sento particolari ispirazioni. È un periodo della mia vita pieno e positivo, sia nel privato sia nel lavoro, e quindi non può esserci la stessa ispirazione dei periodi più fertili artisticamente. Per farti capire, ultimamente sto vendendo il mio atelier per comprare casa. È un momento di transizione, importante, e i miei pensieri sono concentrati su tante cose, com’è normale che sia. La casa nuova, però, sarà molto grande e avrò lo spazio per uno studio. Ovviamente ho pensato a tutto! Poi un po’ mi dispiace per l’atelier…lì dentro, tra l’altro, ho dato anche delle feste, e sono sempre venute bene. Penso che in molti l’atelier se ricordino soltanto per questo! Però è giusto voltare pagina e andare avanti.
Hai mai fatto una mostra con i tuoi quadri?
Sì, ne ho fatta una mia personale nel Castello di San Vito nel 2016. Solo con i miei quadri. Mi è piaciuto. È venuta tantissima gente ed ero contentissimo. Adesso, però, non ho più interesse nell’allestire mostre. Non vedo prospettive né altro. E non me la sento nemmeno di definirmi un artista. Poi magari è soltanto un periodo e quella verve ritornerà, ma io vado a ispirazione. E se non ho l’ispirazione non ho la voglia. Quando magari avrò la testa più sgombra tornerò più produttivo. I prossimi quadri li farò per la casa nuova, per renderla più bella e originale. Tornando alle mostre, però, io penso che siano un concetto superato. Adesso c’è internet, c’è tutto questo per fare arte e comunicarsi, quindi mi orienterò di più sul digitale.
Come ti relazioni con il te stesso-pittore e come vivi il rapporto tra arte e vita?
Una volta mi piaceva di più farmi vedere, per darmi lustro. Tutti facevano qualcosa e anch’io volevo farmi vedere. Adesso non me ne frega niente, non mi dà nessun gusto sapere come mi vede la gente. Dipingo e basta in base all’ispirazione e a quello che sento dentro. Mi piace molto l’atto di dipingere, ma non sempre riesco a sentirmi un pittore a tutti gli effetti, quindi la cosa è strana. Un giorno, magari, tornerò a fare l’artista a tempo pieno. Non oggi. Ma escludo le mostre, come ti ho già detto. I palcoscenici sono ovunque.
Che cosa ti piace dipingere? Il mondo o te stesso?
No, io non faccio nulla che mi rappresenti. Sono orientato ad altro, non ho mai fatto cose su di me, soprattutto nei disegni pubblici. Sono sempre cose esterne. Il fatto che scelga un concetto può dire qualcosa di me, ma non sono orientato all’introspezione o al racconto delle mie esperienze emotive. Generalmente ragiono così. Mi arriva un’idea, e l’idea dura meno di un secondo. Di solito riguarda una critica a come gira il mondo, in un senso ampio oppure particolare. L’idea mi dice dove colpire e quindi la analizzo e la scompongo. A questo punto inizia il processo artistico vero e proprio, che è molto più lungo. Ci posso mettere settimane per produrre, capire, rappresentare e, soprattutto, dare dei significati.
Le mie opere, infatti, non penso siano di facile comprensione per tutti e senza un’adeguata spiegazione. Certo, io cerco molto il lato estetico, ma a me piace anche quando un quadro rappresenta qualcosa di complesso, e per questo ritengo difficile parlare alla massa. Secondo me bisognerà parlare a pochi, perché la maggioranza non ha gli strumenti per capire. Non ha senso mettere un’opera davanti a tutti senza dare la possibilità di comprenderla. Che poi non finisce qui. Mettiamo che ci sia una spiegazione. Chi è che ha la voglia di leggerla?
Penso che hai centrato il punto in pochissime parole. Le cose sono due: la prima è che sono in pochi ad avere gli strumenti per capire un’opera d’arte; la seconda è che, anche se gli strumenti e le spiegazioni sono a portata di mano, sono in pochi ad avere tempo, desiderio o voglia di capire. Ti andrebbe di raccontarci qualche tua opera?
Certo, partiamo con La Sacra Famiglia, del 2018, che è l’immagine della nostra intervista. Il quadro è un quadro satirico, che intende mostrare come nel tempo siano cambiati i valori e il concetto di “sacro”. Se una volta a ispirare il nostro popolo era la famiglia di Betlemme adesso ci sono Fedez e Chiara Ferragni, portatori di nuovi simboli e nuovi valori.
La frutta sullo sfondo ricorda l’episodio della festa di Fedez in un Carrefour di Milano, che fece notizia in tutto il Paese creando forti polemiche. Chiara indossa un Rolex senza lancette, perché il Rolex è un bene posizionale. Non mostra l’ora, mostra un simbolo e va bene anche senza lancette. Ha la testa coperta come Maria soltanto che il velo è di Dior, una marca costosa, e indossa al corpo una veste del brand che ha creato lei stessa. Abbiamo degli idoli, se rappresentati in questo modo. Gli occhiali di Fedez portano il simbolo del comunismo e richiamano il suo album Comunisti col Rolex. Il cuore in alto, che sostituisce lo spirito santo, potremmo dire che santifica. Infine Leone, che cinque anni fa era l’unico figlio della coppia, è il nuovo Gesù Bambino, che però è tamarro. Pieno di tatuaggi e in una posizione da divo, è trionfante e “flexa” avvolto in una bandiera dell’Inghilterra. È british, super alla moda e richiama la Dark Polo Gang di British.
Questa Sacra Famiglia, come ho scritto sul mio profilo Instagram, è abbracciata dai fan e odiata dagli haters, come tutti gli idoli. Non è importante il velo d’amore o di odio con cui li osserviamo, perché a loro basta lo sguardo della folla per elevarsi, diventare sacri, incarnare un nuovo ideale e rappresentare la massima espressione della bellezza, del successo e della fama. Che la si ami o la si odi, questa Nuova Sacra Famiglia resterà un’icona del nostro tempo.
Un altro quadro a cui sono legato è La consolazione, di tre anni fa. Da un punto di vista stilistico fa parte dei miei lavori surrealisti, come Il sogno consumista e L’alba del progresso, e descrive il rapporto della vita con la morte. L’idea è che quando nasci sei indissolubilmente legato alla tua fine, come in un matrimonio tra vita e morte. Io sono lo sposo e la morte è la mia sposa, che è presente in ogni avvenimento ed è la possibilità di morire ma anche la morte delle altre persone. L’uomo nel quadro la sta dipingendo, la sta abbellendo, la sta rappresentando, evitando di percepirla per come può essere davvero.
Le religioni, le ideologie e le culture del mondo lavorano tutte in questo senso, seppur attraverso forme diverse. Cercano cioè di coprire la morte. Anche la cultura cristiana scrive sopra questo evento: muori e incontri Gesù, muori e ti reincarni. Nessuno vive la morte per com’è. L’uomo, anche per paura, la sovrascrive e la cerca di coprire…è questa la sua grande consolazione, da cui il titolo del quadro. L’arte, come puoi aver intuito, opera nello stesso identico modo. Vuole coprire, abbellire, consolare ed elaborare in modo creativo. Il punto, però, rimane identico: la morte viene coperta. Anche di Vincent van Gogh si diceva che tutti quei colori della Notte Stellata altro non fossero altro che un tentativo di coprire la depressione.
Il sogno consumista è un’altra mia opera di matrice surrealista, sempre del 2020. È ambientata in un mondo ideale, che però potrebbe essere un futuro non troppo lontano. Nel dipinto ci sono un’infinità di merci, prodotti e servizi. E tutti i bisogni sono appagati grazie a una tecnologia che consente una produzione di massa smisurata e incessante. Non esiste prezzo, valore o unicità. Tutto è disponibile in quantità infinite. Tutti hanno tutto e non ha più senso combattere per qualcosa. L’uomo vive in una libertà di godimento senza limiti e ogni sua responsabilità viene meno. È quasi un comunismo con una quantità di risorse ridicola.
Dovrebbe essere sereno, questo mondo. In realtà così facendo perdiamo i nostri attributi di uomini e regrediamo a uno stadio infantile, come nel quadro. Siamo sempre appagati, non c’è preoccupazione del futuro e non ci sono responsabilità. Siamo come dei bambini e non avvertiamo il bisogno di provvedere a noi stessi o agli altri. Non c’è necessità di combattere o creare arte. Questo consumismo così usurante plasma gli uomini tornati infanti e li rende angosciati, immersi nella monotonia della ripetizione e privi di ogni senso o scopo.
L’uomo-infante è senza una mano, perché la mano è diventata superflua. Non ha bisogno né di arti né di concetti e valori. È superfluo qualsiasi strumento, fisico o mentale. La storia dell’uomo, da sempre contraddistinta dalla lotta continua e dalla tensione verso il futuro, ormai è finita. La spada sulla sinistra, simbolo della battaglia, non può essere afferrata da persone che non hanno nulla per cui combattere in un mondo che non necessita di essere cambiato. È in questo momento che l’infante compie un passo indietro e cerca di procurarsi una mancanza, un dolore fisico che lo porti a un risveglio. L’anestesia del continuo appagamento lo ha infatti indotto a ferirsi e a riscoprire la sua vera natura, che è fatta anche di dolore e privazione. Per sentirsi vivo ha avuto bisogno di un gesto estremo, che gli procurasse un forte dolore.
L’importante, a mio avviso, è restare in una tensione equilibrata tra i nostri desideri e ciò che realmente possediamo. Se invece siamo sempre appagati avremo dei problemi enormi. Come vedi, nel bene e nel male i concetti di cui parlo sono reali. Non sono espressi, però, in un modo reale. Il surrealismo è quindi lo stile attraverso cui scelgo di rappresentare questi concetti, per capire meglio la realtà ed elevarmi in sfere più alte.
Grazie. È stato interessante ascoltare le tue parole. Nella seconda parte dell’articolo avremo modo di parlare del tuo quadro più ambizioso, L’alba del progresso, sempre di matrice surrealista. Tra le tue opere, però, oltre ai quadri più complessi, ci sono anche dei ritratti, più semplici e immediati, che raffigurano spesso e volentieri soggetti della cultura pop. Che cosa rappresentano per te i ritratti?
È vero, ho realizzato diversi ritratti e l’ho fatto seguendo stili diversi. Ho anche cercato di creare uno stile mio personale ispirandomi a quelli che già esistevano: cubismo, espressionismo, optical, psichedelia. L’idea era dar vita a qualcosa di nuovo e originale. I ritratti erano in primis un esercizio, quindi, anche se poi non è nato niente di nuovo.
Secondo me l’estetica si sta perdendo. Siamo arrivati a una saturazione senza precedenti. Tutto è già stato prodotto e tutto è riconducibile a qualcos’altro. L’unico modo per creare è lavorare di concetto. E l’arte visiva deve diventare un mezzo e non un fine, altrimenti finiamo nella saturazione dell’immagine. Non esisterà mai più un cubismo che darà vita a un modo nuovo di dipingere. È tutto già stato creato. La pittura non ci arriva più. A evolvere possono essere soltanto la performance o la multidisciplinarità.
Adesso ci sono le tecnologie, e quelle creeranno sicuramente delle nuove forme d’arte, come l’arte digitale. A livello estetico è l’unica cosa che può cambiare le carte in tavola. Dobbiamo quindi sperare che la tecnologia progredisca e porti con sé sia nuovi concetti sia nuove forme di rappresentazione. Ormai qualsiasi cosa che vedi è già stata fatta, a mio avviso, e solo la tecnologia potrà produrre qualcosa di interessante.
Tecnologia è futuro, e futuro è speranza, quindi. Usciamo un attimo dall’arte. Tu, personalmente, cosa vedi intorno al tuo futuro?
Guarda, adesso mi becchi in un periodo di ottimismo ed entusiasmo. Ho successi nella vita e nel lavoro e so che se mi impegno sono molto capace. Se mi ci metto e porto con me una forte motivazione posso conquistare traguardi importanti. Il nostro paese, però, è difficile per noi giovani…poco lavoro, invecchiamento della popolazione, cambiamento climatico, politica instabile. È vero, sono tutte grandi sfide, però dobbiamo anche concentrarci su quello che abbiamo, comunicazione e accesso alle informazioni in primis.
Saranno tempi duri, è inutile nasconderlo, ma in Italia vedo troppo pessimismo di fondo. Abbiamo passato momenti peggiori: peste, guerre, terrorismo. Adesso, nonostante tutto, siamo nel periodo più florido dell’umanità. Concentrarsi sulle cose negative e basta non ha senso. Non è giusto farci mettere i piedi in testa e dare per scontato ciò che abbiamo.