All’avvocato si dice sempre tutto è una raccolta di racconti brevi, uscita per i tipi dell’editore Aragno. L’autore Luca Ponti è uno dei maggiori avvocati italiani, diciamo uno dei primi 5. Laureato a Firenze, dopo gli studi è tornato a Udine, sua città di origine, dove si è specializzato in diritto commerciale e societario. Oggi segue clienti molto importanti tra cui grandi imprese e grosse banche.
Il suo studio legale ha vinto il premio Toplegal Awards – “Studio dell’anno – Nord” nel 2015 e si è aggiudicato il premio LOY Banking and Finance Awards – “Studio legale dell’anno Nord Est” nel 2018.
Inoltre, dal 2019 ad oggi, lo studio Ponti & Partners è sempre risultato “Tra i migliori studi nelle macro-regioni: Nord Italia“ nell’indagine de Il Sole 24 ORE. Nel 2021 ha vinto il premio “Legal Award dei Territori” di Class Editori e Milano Finanza come miglior studio del Triveneto nella categoria “Diritto Penale Societario”.
Quest’anno l’avv. Ponti è stato onorato del premio “Legal Ranking City Edition” da Class Editori e Milano Finanza, in quanto vincitore in Italia nelle categorie “Diritto Penale Societario” e “Diritto Fallimentare e Procedure Concorsuali”.
Per scrivere questo libro Luca Ponti si è ispirato alla pratica professionale ed alle vicende della giustizia con uno sguardo non solo avvocatizio, ma con una chiave di lettura diversa e di grande finezza. I racconti del libro analizzano una serie di meccanismi intimi e psicologici molto personali, passando poi a una dimensione relazionale articolata: il rapporto con il cliente, quello con i giudici e con i colleghi ma anche quello con le proprie speranze e le proprie aspirazioni, cercando una strada per raggiungerle e per realizzarle.
Tante domande con risposte molto complesse, che escono da un ambito strettamente professionale per aprirci una dimensione letteraria e prima ancora esistenziale.
Intervista di Gianluca Ruotolo, avvocato e pubblicista
Domanda
Secondo me buona parte degli uomini di lettere, specialmente italiani, sono laureati in legge. Mi viene in mente un caso per tutti, quello dell’ illustre processualista Sebastiano Satta che scrisse un libro famoso, Il giorno del giudizio, che resta uno dei miei preferiti. C’ è qualcosa che lega la professione di avvocato alla letteratura, non ti sembra?
Risposta
Certamente. Se letteratura è da considerarsi tutto insieme quotidianità, comunicazione, psicologia, incertezza o sfaccettature della verità, come fa l’avvocato a non essere il primo interprete naturale ed esegeta di queste presenze nella vita. Non sono solo i suoi normali attrezzi di lavoro ma a ben vedere sono l’in sé della sua professione ricavabili dalla circostanza che un uomo non fa l’avvocato, ma lo è.
Domanda
Quando nasce la passione x la letteratura, intendo x la parola scritta? quando hai cominciato a scrivere? e come presenteresti te stesso quale autore?
Risposta
Da sempre seguo i temi letterari, pensa che all’ esame di maturità classica portai una tesina con alcuni miei racconti che piacquero alla commissione e mi aiutarono a superare più brillantemente l’ esame di maturità. Poi ho diversificato i miei interessi, si è connotata questa attenzione per la scrittura e l’ attenzione al particolare. Comunque il motivo per il quale io scrivo è che, volendo cercare un’ immagine un po’ metaforica, sono affascinato da quello che esce strettamente dalla cultura, tradizionale-convenzionale e soprattutto dogmatica dalla dimensione strettamente razionale. Se io fossi medico mi dedicherei allo psicosomatismo, da avvocato mi interesso a tutte quelle aree che connotano la professione e la giustizia le quali non vengono fotografate dalla realtà che la mente vive nel processo. Vorrei anche dirti che letteratura è una parola troppo pretenziosa per la mia scrittura. La riflessione del raccontino mi ha sempre stimolato, mi ha sempre accompagnato ed è una connotazione della mia vita da sempre. Anche qui c’è stata un’ evoluzione, io da ragazzo scrivevo essenzialmente su situazioni puramente virtuali o di fantasia mentre oggi l’ osmosi con la professione mi assorbe ed è comprensibile che la dimensione del raccontino tragga spunto anche dalle diverse angolazioni proprio delle vicende professionali. Adesso amo approfondire la dimensione psicologica delle situazioni, senza smarrirmi nelle per me solite descrizioni somatiche delle persone piuttosto che dei luoghi dove la vita si ambienta. Come dire cerco una unicità psicologica e di comunicazione nello stesso personaggio pur sapendo che lo stesso è molto poliforme, come poliforme è la personalità di ognuno di noi.
Domanda
Tra colleghi si va subito al punto, per cui ti farò più di una domanda. Tu sei un avvocato e nel tuo libro ci parli di un altro avvocato, forse non solo immaginario. Cosa significa, oggi, fare la professione? Come si convive con i cambiamenti, tecnologici e di costume, che cambiano in radice un’ arte sempre più praticata? E che dire della giustizia mediatica?
Risposta
Iniziamo col dire che nel corso degli anni le cose sono cambiate moltissimo e che la professione non è più la stessa. Io sono cresciuto sulla considerazione che c’era una cultura che connotava l’ avvocato, una cultura giuridica. Pensa che io avevo scritto dei libri di diritto e li candidavo a tramandare la mia cultura specifica ai clienti. Adesso è tutto fuori moda. Offrire un libro di diritto ad un cliente è quasi diventata “una minaccia”. Nessuno legge o ha più tempo per leggere. Ovviamente facendo un discorso macro statistico e con tutti i limiti delle eccezioni del caso.
La cultura accademica che un tempo connotava i vertici della nostra professione sta gradatamente scomparendo perché la distanza tra professione e università è diventata abissale, proprio perché, nel caso della professione, il sapere giuridico non è più il requisito unico e importante per praticarla con successo.
Oggi l’Università è fuori dell’esperienza professionale, il legale deve saper risolvere problemi ed intercettare i bisogni che mutano nei periodi storici. Questa è l’ unica regola fondamentale ferma nel tempo. Una grande differenza rispetto al prima, agli anni passati, è capire che oggi è molto più importante rispondere velocemente che rispondere bene, e le nuove generazioni di professionisti devono saperlo. Pensare di avere una risposta soddisfacente a distanza di anni non serve, non è quello che cerca il cliente investito dai mass media. Le tempistiche e l’ accuratezza della risposta di un tempo non sono più compatibili con una società frenetica che, come quella di oggi, chiede ansiosamente delle reattività che sono ben diverse. In sostanza in un mondo in cui la cultura è livellata e ci sono una serie di prototipi di mediazione culturale accessibili a tutti il ruolo dell’ avvocato è mutato radicalmente.
C’è stata una grande metamorfosi che ha cambiato il professionista il quale oggi è un problem solver e non più uno che parlava latino citando brocardi di altri professionisti o filosofi come eterni e con ciò assecondando il proprio narcisismo”.
Domanda
Un nuovo tipo di avvocato presuppone anche un nuovo tipo di cliente, di cui soddisfare le necessità. E quale rapporto si stabilisce con questo nuovo tipo di cliente?
Risposta
Oggi l’ avvocato non può più tenere le distanze con il cliente. Oggi è necessario un professionista che sappia entrare nella mentalità delle persone ed accompagnarle nella gestione dello stress. Oggi contano psicologia carisma e comunicazione, il professionista deve saper gestire varie problematiche. Ad esempio oggi i processi hanno una forte componente mediatica da cui non ci si può estraniare per cui è necessaria anche la gestione mediatica di una questione processuale che investe la vita del cliente.
Domanda
Il tuo alter ego letterario si chiama Castano Dittongo, un legale che è protagonista dei 29 racconti. Le vicende del maldestro Castano sono, nel complesso, buffe. Il prof. Fabio Finotti, italianista illustre, lo scrive nella sua presentazione del libro, affermando che “ Castano e i suoi comprimari potrebbero entrare a pieno diritto nel Palio dei buffi, la splendida raccolta di racconti pubblicata da Palazzeschi del 1937 (…) Buffo è appunto il mondo di Castano nella sua continua incapacità di rispettare le forme alle quali vorrebbe adeguarsi, nei suoi gesti talora inconsulti, nel procedere per impulsi che si contraddicono, e insomma nell’incarnare quel principio di indeterminazione che l’epoca contemporanea sembra voler estendere dalla fisica quantistica all’antropologia.” Io come lettore ti dico che il nostro eroe è buffo a partire dal nome, che è strano ed ha in se’ un’ idea ancipite, doppia. Ora io ti chiedo, perchè Castano e perché Dittongo? Forse perché Castano è un colore intermedio, ne’ biondo ne’ moro? Oppure perché Casta / no non fa parte della casta, dei grandi giri ed è una persona comune? O perché il dittongo come tale conta due lettere e non una sola, e gioca su due lettere perché un po’ si barcamena?”
Risposta
Ma no. E’ solo un gioco, nulla di strettamente autobiografico. Io non sono Castano, il mio personaggio è una maschera che intercetta solo una parte delle mie emozioni. A differenza di lui, mi ritengo pugnace e orientato al risultato, mi dedico a tempo pieno alle questioni di lavoro. Perciò non mi immedesimo pienamente con le vicende dei miei racconti che puntano soprattutto sulla dimensione non razionale, emotiva”. In altre parole amo descrivere che la realtà o la verità (come la società direbbe Bauman) non è sempre liquida, non è sempre una, anche quando analizzi la stessa persona da diverse angolazioni di lettura ma magari in diversi momenti storici o addirittura all’interno di una stessa giornata. Da qui la dimensione di Castano che è uno, nessuno e centomila.
Domanda.
Tra i racconti del tuo libro a quale sei più affezionato? pensi che uno di essi ti rappresenti in particolare? e quale?
Risposta
Non ce n’è uno in particolare. Mi piaceva descrivere l’excursus professionale di un avvocato da quando inizia e magari è prigioniero di miti che si rivelano in realtà ipocrisie a quando finisce e si spegne la sua carriera con tutte le disillusioni e soprattutto con l’esperienza che rivela che il percorso di valutazione e di accertamento della verità è molto più vicino al prodotto del lavoro di Kahneman che a manuali universitari che parlano per non essere sentiti.
Domanda
Se c’ è un racconto che fa eccezione a questa regola del buffo è l’ ultimo, intitolato Il Giallo del rasoio. Parla di un omicidio rimasto senza colpevoli, compiuto molto tempo prima a mezzogiorno e sulla pubblica piazza. Stranamente nessuno si accorge di nulla, ed emerge ben poco anche dalle immagini riprese dalle telecamere di una vicinissima banca. Anche Castano, che aveva indagato a suo tempo come legale di parte civile, non era riuscito a cavare un ragno dal buco. Ma ecco che il nostro eroe, ormai vecchio e malato, incontra qualcuno mentre è ricoverato in ospedale. A volte basta solo uno sguardo per riconoscersi e per capire tutto… Si tratta di una suggestione letteraria da romanzo giallo o è una storia interamente inventata? c’ è un precedente, un appiglio fattuale?
Risposta
Solo una suggestione letteraria, come dici giustamente tu. Talvolta la lettura del giallo a me personalmente annoia nella parte in cui razionalmente deve sempre definire un percorso di accertamento di un colpevole. Talvolta irrazionalmente non è sempre così. E’ una mia rilettura che partendo da quelle matrici che descrivevo cerca un po’ di rivoluzionare il pensiero tradizionale di leggere un giallo.
Conclusione. Non vi diciamo come e non vi diciamo chi, ma sarà proprio la dimensione comunicativa (specie quando manca) l’argomento del prossimo libro di Luca Ponti.
Ce lo ha anticipato proprio durante l’incontro. Sarete i primi a saperlo!