Il Mondiale di calcio è sempre un evento emozionante per tutti, anche per coloro che di calcio non se ne intendono. Ma quello che si disputa nel Qatar è diventato il mondiale più controverso della storia del calcio. Basti pensare, la decisione di organizzare un evento così importante in un Paese che non ha mai brillato dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, è stata dettata dalla valanga di soldi investiti: 200 miliardi di euro.
Nel 2017, in seguito alle critiche internazionali dovute alle miserevoli condizioni in cui versavano gli operai in Qatar, il Paese ha voluto intraprendere una collaborazione con l’International Labour Organization, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Questo ha portato, due anni dopo, all’entrata in vigore del salario minimo e all’abolizione del sistema della kafala.
Si tratta di un istituto diffuso in diversi Paesi arabi che, secondo molte organizzazioni internazionali, rappresenta una forma neanche troppo velata di schiavismo. Nella kafala, infatti, il lavoratore si lega a un kafeel, una sorta di “sponsor” che in teoria ha il compito di garantire per il lavoratore, ma di fatto detiene un potere pressoché assoluto sul dipendente, che rimane soggetto a pesanti limitazioni alla propria libertà personale.
Un piccolo traguardo, se non fosse per le denunce di Human Rights Watch pubblicate nello stesso 2020, che hanno dimostrato come la condizione degli operai sia di fatto rimasta invariata. Si parla di un Paese che conta su 2 milioni di lavoratori migranti provenienti soprattutto da Asia e Africa e che costituiscono il 90% del totale della forza lavoro.
Il reportage del The Guardian, secondo cui circa 6.700 persone avrebbero perso la vita per realizzare le mega opere legate ai Mondiali come l’aeroporto a forma di vela, il ponte verso il Bahrein, le nuove strade costate 20 miliardi di dollari. Gli operai provenivano soprattutto da India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka e Pakistan. È probabile, però, che i numeri siano più alti, dato che alcuni Paesi da cui viene la maggior parte della forza lavoro, come le Filippine e il Kenya, non hanno fornito dati.
Bisogna anche aggiungere che, delle oltre 15.000 morti sul luogo di lavoro dichiarate dalle autorità qatariote tra il 2010, anno di inizio dei lavori, e il 2019, la maggior parte sono attribuite a generici “problemi cardiaci” o respiratori non direttamente riconducibili al lavoro svolto. Un dato che desta sospetti, viste le condizioni estreme in cui operano i lavoratori in Qatar, che, secondo l’Organizzazione Internazionale del lavoro, hanno passato almeno 4 mesi all’anno sperimentando orari di lavoro massacranti e significativi stress termici dovuti alle estreme temperature.
L’ambasciatore dei mondiali del Qatar, Khalid Salman, quando in un’intervista ha detto: “I gay sono malati mentali e dovranno adeguarsi alle leggi di casa”. Quali sarebbero queste “leggi di casa”? È ancora Human Rights Watch a restituire un quadro verosimile della situazione in cui versa la comunità LGBTQ+ in Qatar. “Il clima repressivo intorno alla libertà di espressione nel Paese, compresi i diritti delle persone LGBT, ha fatto sì che molte persone che possono aver sperimentato maltrattamenti abbiano paura di essere intervistate a causa del rischio di ritorsioni”. Come riporta l’organizzazione, il Codice penale del Paese, sotto l’articolo 285, punisce le relazioni extraconiugali, anche omossessuali, con la reclusione fino a 7 anni.
Si aggiunge la violenza arbitraria esercitata delle forze dell’ordine, che possono arrestare e trattenere chiunque in carcere fino a 6 mesi senza formali accuse né processo, se c’è una fondata ragione per ritenere che la persona abbia commesso un crimine, tra cui anche la “violazione della morale pubblica”. Non coglie troppo di sorpresa, quindi, la proibizione di esporre bandiere arcobaleno o altri simboli che rimandano alla comunità LGBTQ+ sugli spalti durante il torneo.
Ma non è finita qui. Due giorni prima, dal fischio d’inizio delle partite, è arrivato il divieto di vendere bevande alcoliche all’interno e nei pressi degli stadi. Ed è proprio la FIFA a comunicarlo, decisione presa dopo le pressioni esercitate dal governo qatariota, che già aveva intimato agli organizzatori di spostare gli stand della birra in luoghi meno visibili per non turbare la popolazione locale. L’alcol non è vietato in Qatar ma è strettamente regolamentato.
A tutto questo non sono mancate le parole di Gianni Infantino, presidente della FIFA, che nella conferenza stampa alla vigilia della prima gara (Qatar-Ecuador), ha contrattaccato alle critiche confondendo, a mio avviso, il valore dei diritti umani. Valore che non ha prezzo.