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I cimiteri opere d’arte monumentali, militari e pure allegri

| 1 Novembre 2022 | CULTURA

I Cimiteri o camposanto chiamato in questo modo perché il campo veniva benedetto prima di essere usato come luogo di riposo. Cimitero invece viene dal greco koimētḕrion, dormitorio per i corpi spenti. Sembra almeno secondo gli storici che la civilizzazione dell’uomo è iniziata proprio quando ha sentito il bisogno di seppellire i propri cari. La sepoltura dei morti si diffonde con i cristiani prima nelle catacombe e poi nel Medioevo sotto i pavimenti delle chiese o luoghi religiosi. Nelle civiltà antiche questi luoghi si chiamano necropoli, città dei morti.

In Italia il primo cimitero è quello di Sant’Orsola a Palermo, aperto per tutti i ceti. Poi con la Rivoluzione Francese la sepoltura viene stabilita lontano dai centri abitati, principalmente per una questione d’igiene. L’Editto di Saint Cloud del 1804 di Napoleone Bonaparte impone l’ordinanza.

In Italia viene adottato dal 1806 e le tombe devono essere tutte uguali e anonime, seguendo i principi della Rivoluzione. Non mancano le critiche di letterati e poeti italiani sull’editto, per la spersonalizzazione del luogo a favore di una visione atea, che recide il legame tra vivi e morti. La condanna più nota arriva soprattutto da  Ippolito Pindemonte con I cimiteri, a cui  Ugo Foscolo nei Dei Sepolcri risponde,  prima negando l’importanza delle tombe e poi  rivalutandole.

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Nel tempo si sviluppano nelle città i grandi cimiteri monumentali, vere opere d’arte, in cui riposano i personaggi illustri. E i cimiteri militari dove sono seppelliti i morti della Prima e Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, nei cimiteri ebraici sulle lapide sono riportati i testi in ebraico e la professione del defunto. Invece per i musulmani è vietato assolutamente il decoro delle tombe e non si usano  fiori e foto. Mentre il corpo del defunto viene posto su un fianco in direzione della Mecca.

Invece a Săpânța  in Romania si trova il  Cimitirul Vesel  dall’aspetto e dal nome paradossalmente allegro. Siamo abituati a pensare al cimitero come un luogo triste e drammatico, eppure in rare parti del mondo come questo appaiono tombe illustrate con soggetti vari,  colorati, stranamente gioiose. Anche per i Rumeni come nel resto dell’Europa e  della cultura cristiana il momento dell’abbandono è vissuto come un evento drammatico. In questo caso però il Cimitero Vesel si collega alla cultura degli antichi Daci e alla loro idea d’immortalità.

Lo stile di queste tombe è naif balcanico e le lastre in legno decorate, rappresentano l’attività precedente dell’uomo o il motivo della morte o ancora la Vergine Maria,  il tutto prevalentemente in uno sfondo blu. In tanti casi le scritte sulle stele sono anche umoristiche e sono circa 800 di queste tombe pittoresche.

Le stele gioiose risalgono al 1935 quando l’artigiano  Stan Ioan Pătraș riprende la vecchia tradizione dei Daci o valacca, in cui i funerali vengono considerati momenti felici. Infatti essi ritengono la morte un passaggio a una nuova vita e ancora oggi questa usanza viene coltivata. Ogni stele è un racconto di vita unico, spesso divertente. Dal contadino morto giovane all’ingegnere, fino alla terribile suocera con il monito del genero: <<Voi che passate state attenti a non svegliarla!>>.

Di solito si tratta di sette o diciassette righe in rime semplici sulle colonne realizzate in legno di quercia. Certo, avere a disposizione visitando il cimitero una breve biografia del defunto in un affresco artistico,    rende l’idea della morte meno greve.

In questo cimitero la morte si ravviva con ironia, colori e brani,  forme diverse, disegni floreali o astronomici. Dopo la morte di Patras nel 1972 la tradizione continua con  Dumitru Pop, mentre la morte inarrestabile offre continuamente la sua gioiosa e supina ispirazione.

La grappa e le sigarette hanno concluso i miei giorni.

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