
I potenti si contendono il mondo, stabiliscono i confini, dichiarano guerra e preparano trattati. Si dividono i cieli, i mari, nell’assurda e presuntuosa convinzione, che ogni specie, organismo, albero o cosa, esista e sia creato per i bisogni dell’uomo. Ma è solo un’illusione, nel sentirsi superiori ed eterni, come il solitario e lungimirante Giacomo Leopardi descrive nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo, in una visione critica, atea e pessimista.
Il breve racconto, viene composto dal poeta dal 2 al 6 marzo 1824 a Recanati. Parte di una raccolta le Operette morali (1824-1828), in tutto ventiquattro brani in prosa, satirici, che in forma di dialogo e novelle, denunciano il malcostume italiano e l’antropocentrismo.
Nell’operetta Leopardi mostra un mondo senza più uomini, che per la sua bramosia si autodistrugge. E in questo scenario appare dalla terra uno gnomo, che apprende da un folletto l’estinzione della specie umana, derisa per i suoi deliri di onnipotenza e le sue miserie.
Infatti, la ridicola convinzione dell’ uomo sulla sua centralità svanisce, di fronte a un mondo che continua nella sua meccanicità a esistere, incurante della sua assenza e senza interrompere la sua ciclicità. La natura, l’universo sopravvive a tutto. Il sole continua a sorgere e la notte a chiudere il giorno, in un susseguirsi di anni e di stagioni.
Nel dissacrante dialogo anche lo gnomo e il folletto finiscono per cadere nella stessa presunzione dell’uomo, ma in misura minore rispetto al suo ego. Per la natura gli uomini sono solo una delle tante specie, probabilmente più sciocca nell’annullarsi.
Lo gnomo e il folletto discutono anche sulle ragioni della loro scomparsa come le guerre, l’ozio, il disordine, la mancanza d’illusione. L’idea che persino le zanzare e le pulci fossero state create per allenare la pazienza dell’uomo.
Il mondo invece, per Leopardi appartiene alla natura, maligna, indifferente verso la sorte dell’uomo solo. E in questo universo soltanto la natura sopravvive, insinuandosi tra le macerie, i sassi, l’acqua e l’impervio; coprendo ogni spazio, mentre l’uomo e la sua storia lentamente scompaiono, dissolti nel nulla, perdendo la loro occasione.
La Terra può fare a meno della stupidita dell’uomo, con i suoi danni e pretese. Si evolveranno altre specie rispettosi e in armonia con la natura e il mondo.
Folletto. […] Ora che gli uomini sono spariti la fortuna si è tolta la benda, e messasi gli occhiali, [… ].non ci son più regni né imperi che s’estendano e scoppino come bolle, perché sono tutti sfumati. Non si fanno più guerre e gli anni assomigliano l’uno all’altro come uova.
[…]
Gnomo. Ma, in che modo si sono estinti, quei furfanti?
Folletto. Alcuni sono morti guerreggiando tra di loro, altri per mare, altri mangiandosi l’un l’altro, molti uccidendosi con le proprie mani, altri marcendo nell’ozio, altri spremendosi il cervello sui libri, altri gozzovigliando e conducendo una vita disordinata. Insomma, le hanno studiate tutte per agire contro la propria natura e per finir male.
[…]
Folletto. Non c’è da stupirsi, se si pensa che non solo pretendevano che le cose del mondo non avessero altro compito che di stare al loro servizio, ma che tutte, messe a confronto con loro, fossero una bagattella. Così, avevano la presunzione di considerare le proprie storie come le storie del mondo intero. Questo nonostante si potesse contare un numero di specie animali numeroso quanto tutti gli uomini viventi messi assieme e nonostante gli animali, che a detta degli uomini eran lì per loro, non si accorgessero minimamente dei cambiamenti del mondo.
Gnomo. Anche le zanzare e le pulci eran create per loro piacere?
Folletto. Sì, dicevano che erano state create per esercitarli nella pazienza.
Gnomo. In effetti, se non era per le pulci, mica avevano occasioni per esercitare la pazienza.
[…]
Folletto. Ma ora che sono tutti spariti, la terra non sente la loro mancanza, i fiumi seguono il loro corso e il mare, benché non serva più alla navigazione e ai loro traffici, non sembra che si prosciughi.
Gnomo. E le stelle e i pianeti sorgono e tramontano come prima, e non vestono a lutto.
Folletto. E il sole non s’è intonacato il volto di ruggine, come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare, della quale credo che si desse pena quanto la statua di Pompeo.