La guerra di Piero, canzone antimilitarista del Grande e indimenticabile Fabrizio De André, mai come ora suona attuale. Scritta nel 1964 e inserita nel primo album di Faber Tutto Fabrizio De André (1966), con l’arrangiamento musicale di Vittorio Centanaro. E’ composta da 13 strofe, con influssi di altre poesie, tra cui Le dormeur du val di Arthur Rimbaud. E in una quartina anche dei versi della canzone Dove vola l’avvoltoio, di Italo Calvino.
Ispirata da Georges Brassens, ma soprattutto dai racconti dei familiari, come quelli dello zio Francesco, che partecipa alla campagna in Albania e viene imprigionato in un campo di concentramento. Attraverso le parole dello zio e del suo vissuto conosce la brutalità della guerra. Tematica proposta anche qualche anno prima in un singolo La ballata dell’eroe, del 1961.
Inoltre, l’antimilitarismo resta per De André un argomento molto presente nelle sue canzoni anarchiche e pacifiste, anche per le vicende della sua infanzia. Infatti, durante la Seconda Guerra Mondiale la famiglia per sfuggire ai bombardamenti si rifugia in campagna a Revignano d’Asti, nella Cascina dell’Orto, vivendo le angosce della guerra. Il padre inoltre, che dirige un istituto tecnico è perseguitato dai fascisti per aver protetto alcuni studenti ebrei.
Negli anni la ballata diventa il simbolo della pace, con il suo protagonista Piero, che di fronte al nemico, in un attimo di esitazione, muore colpito dal vigile fucile, “che non gli ricambia la cortesia”. Definito tra i brani più belli e significativi dell’autore, favorisce una cultura di pace. Viene inserita nelle antologie scolastiche e studiata in particolare nelle scuole elementari.
Oggi nel conflitto tra Russia e Ucraina, che coinvolge l’intera Europa e non solo, è facile vedere in Piero i tanti soldati amici e nemici, che imbracciano l’artiglieria subendola, seguendo un ordine, ma probabilmente desiderando la pace. Mentre i responsabili minacciano fanatici, compromettendo indifferenti l’equilibrio mondiale. E se per principio nessuno, anche di poco cede, allora che “Muoia Sansone con tutti i Filistei!”.
A Fabrizio viene risparmiato almeno questo nuovo orrore e probabilmente con la sua perdita è l’unico aspetto davvero positivo.
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma son mille papaveri rossi
Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente
Così dicevi ed era d’inverno
E come gli altri verso l’inferno
Te ne vai triste come chi deve
Il vento ti sputa in faccia la neve
Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po’ addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce
Ma tu no lo udisti e il tempo passava
Con le stagioni a passo di giada
Ed arrivasti a passar la frontiera
In un bel giorno di primavera
E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue
E se gli sparo in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l’artiglieria
Non ti ricambia la cortesia
Cadesti in terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio
Ninetta bella, dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi