Il problema dell’inquinamento atmosferico non è un problema esclusivamente ambientale ma anche, e soprattutto, sanitario. La recente pandemia ci ha insegnato quanto importante sia la salute delle persone e quanto questa dipenda dall’ambiente che ci circonda.
Ad esempio uno studio dell’Università degli studi dell’Insubria di Varese riporta come ci siano forti correlazioni tra l’esposizione cronica ad elevati livelli di inquinamento atmosferico – e conseguente fragilità delle popolazioni – e l’aumento della sintomatologia da Covid 19. Su 102 capoluoghi di provincia in Italia, nessuno rispetta i valori limite dell’inquinamento atmosferico suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Lo rivela il rapporto annuale di legambiente “Mal’aria” sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane. In particolare ben 17 sono le città con i valori più alti di polveri sottili, ovvero che superano i valori OMS per più del doppio, con Alessandria che nel 2021 ha registrato una media annuale di PM10 pari a 33 µg/mc rispetto al limite OMS di 15 µg/mc; seguita da Milano con 32 µg/mc, Brescia, Lodi, Mantova, Modena e Torino con 31 µg/mc.
Undici sono quelle più inquinate da PM2.5, che superano di oltre 4 volte i valori OMS, con le criticità maggiori registrate a Cremona e Venezia (media annuale 24 µg/mc contro un valore OMS di 5 µg/mc). Sono ben 13 le città più inquinate da biossido di azoto (NO2), ovvero che superano il limite per più di tre volte, con Milano e Torino in forte sofferenza.
Il capoluogo lombardo nel 2021 ha registrato una media annuale di 39 µg/mc contro un valore OMS di 10 µg/mc, mentre la città di Torino (37 µg/ mc). Pochissime le città che rispettano i valori suggeriti dall’Oms per il PM10 (Caltanissetta, La Spezia, L’Aquila, Nuoro e Verbania) e il biossido di azoto (Agrigento, Enna, Grosseto, Ragusa e Trapani), nessuna per il PM2.5. L’inquinamento atmosferico è una delle principali cause di morte prematura e malattie ed è il più grande rischio per la salute ambientale in Europa.
A fare il punto della situazione è l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) che sottolinea come siano le malattie cardiache e l’ictus le ragioni più comuni di morte prematura attribuibili all’inquinamento atmosferico, seguite dalle malattie polmonari e dal cancro ai polmoni. L’AEA ha anche stimato i potenziali benefici per la salute derivanti dal raggiungimento degli standard di qualità dell’aria dell’UE e dei valori delle linee guida dell’OMS per il particolato fine nell’aria ambiente.
Nel 2019, l’inquinamento atmosferico (anche se in misura minore rispetto al 2018) ha continuato a causare un onere significativo di morti premature e malattie nei 27 Stati membri dell’UE: 307.000 morti premature attribuite all’esposizione cronica al particolato fine; 40.400 morti premature attribuite all’esposizione cronica al biossido di azoto e 16.800 morti premature dovute all’esposizione acuta all’ozono.
E l’Italia figura pur troppo ai vertici di questa classifica, considerando in particolare i grandi Paesi europei: siamo infatti al secondo posto dopo la Germania per morti evitabili da particolato e ozono ma al primo posto per le morti evitabili da biossido da azoto. Complessivamente nel nostro Paese sono state quasi 64mila le morti evitabili per inquinamento per un totale di oltre 645mila anni di vita persi. Rispetto al 2005, nel 2019 le morti premature attribuite all’esposizione al particolato fine sono comunque diminuite del 33% nell’UE-27.
Se questo tasso di riduzione delle morti premature verrà mantenuto in futuro, l’UE dovrebbe raggiungere l’obiettivo del piano d’azione per l’inquinamento zero. Tuttavia si sarebbe potuto ottenere già nel 2019 un risultato significativo con una riduzione di almeno il 72% rispetto ai livelli del 2005 se la nuova linea guida dell’OMS sulla qualità dell’aria per il PM 2,5 di 5 µg/m 3 fosse stata raggiunta in tutta l’UE-27 già nel 2019.