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Mattarella bis, storia di una rielezione. Il presidente, nella storia repubblicana, è secondo solo al record di Pertini che nel 1978 salì al colle con 832 suffragi

| 3 Febbraio 2022 | L'OPINIONE

Sergio Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica all’ ottava votazione, con 759 voti su 1009. Il paradosso è che il presidente non ha cercato in alcun modo la sua riconferma, ma ha comunque ottenuto un risultato importante perchè il Mattarella bis, nella storia repubblicana, è secondo solo al record di Pertini che nel 1978 salì al colle con 832 suffragi.

La rielezione di Mattarella ha richiesto una settimana e otto scrutini, un numero – come tale – non elevato per un’edizione presidenziale. Ciononostante l’ elezione del 2022 è stata la più lunga della seconda repubblica ed una delle più incerte.

Mentre si parlava, ma si parlava soltanto, della candidatura di Draghi le operazioni sono iniziate con ampi sondaggi di Silvio Berlusconi che ha sentito le forze politiche rivolgendosi personalmente a deputati e senatori, constatando però dopo alcuni giorni l’ impraticabilità della sua personale opzione. A questo punto, una settimana fa, l’ex premier ha scritto una lettera per ritirarsi lasciando il campo libero. Non c’ era più un candidato ufficiale e nessuna parte politica era in grado, da sola, di eleggere il presidente della repubblica.

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A questo punto si doveva ricominciare da capo a partire da un’attenta analisi della situazione.

In Parlamento il gruppo più numeroso, anche dopo gli abbandoni, resta quello del Movimento Cinque Stelle che conta 158 deputati e 74 senatori oltre a 4 delegati regionali, mentre il secondo è quello della Lega con 133 deputati e 64 senatori, a cui vanno aggiunti altri 14 delegati regionali.

Viene poi un numerosissimo Gruppo Misto, molto grande ed ancor più composito che conta 50 senatori e 65 deputati, con intenzioni di voto molto differenziate. A seguire il Partito democratico con 94 deputati e 39 senatori, oltre a ben 20 delegati regionali.

Forza Italia conta invece 79 deputati e 50 senatori, più 8 delegati. Quello di Fratelli d’Italia è invece composto da 37 deputati e 21 senatori, e i delegati sono 5. Più piccolo il composito gruppo Italia Viva – Psi con 15 senatori e 29 deputati alla Camera, dove si chiama Italia Viva senza Psi.

Con questi numeri nessuna delle due ex coalizioni (centro destra e centro sinistra) poteva far eleggere un candidato, e anche con il contributo del gruppo di Italia Viva in attesa di fare l’ago della bilancia la maggioranza di 505 voti restava lontana. Era quindi necessario allargare l’ area del consenso cercando i voti mancanti nel gruppo misto ed un po’ dovunque.

Ma a complicare la situazione c’ era anche un altro fattore. Fino alla vigilia delle consultazioni in molti pensavano, assumendosi un grave rischio, che il presidente della Repubblica si  dovesse eleggere con i voti della maggioranza di governo per garantire, se il prescelto fosse stato Mario Draghi, la continuazione della legislatura e del governo evitando possibili elezioni. 

Era ben diversa l’idea di Matteo Salvini, il quale prima dell’ inizio degli scrutini aveva dichiarato che “la proposta è onere e onore del centrodestra, oggi maggioranza in Parlamento e fuori. Niente veti da parte della sinistra che ha proposto e imposto i nomi dei presidenti della Repubblica negli ultimi trent’anni”.

In questa ottica il centrodestra ha fatto i nomi, e tra questi una rosa di alto livello che comprendeva l’ex presidente del senato Marcello Pera, Letizia Moratti e l’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, non accettati dal centro sinistra che ha posto il veto. Salvini in particolare ha suggerito anche il giurista Sabino Cassese, ma pure quest’offerta è stata declinata.

Davanti a questo attivismo Letta e il centro sinistra hanno giocato di rimessa attendendo l’esito delle proposte via via avanzate. Ad un certo punto si è sentito anche il nome di Elisabetta Belloni, la diplomatica – politicamente molto riservata e senza appartenenze ufficiali – che dirige i servizi segreti italiani. L’idea è stata considerata singolare incontrando la forte opposizione di Matteo Renzi e non ha avuto alcun esito.

Il centrosinistra ha invece suggerito Andrea Riccardi, che oltre a piacere a Conte trovava ampi consensi anche nel Pd e in Leu. Per Letta il profilo era perfetto, ma la candidatura anche in questo caso è stata respinta da Renzi secondo il quale il fondatore della Comunità di Sant’ Egidio non aveva nessuna possibilità di farcela.

Successivamente è stato avanzato anche il nome del già ministro degli esteri Franco Frattini, che avrebbe senz’altro ricompattato il centro destra ma è stato bocciato da Italia Viva e dal PD, forse per alcune sue prese di posizione considerate troppo vicine alla Russia e come tali contrarie – sempre secondo Renzi – alla tradizionale impostazione geopolitica dell’Italia.

Passando ai voti il primo scrutinio del 24 gennaio è finito con un nulla di fatto, ma soprattutto con ben 672 schede bianche. Paolo Maddalena, già magistrato e professore universitario, poi giudice e vicepresidente della Corte Costituzionale, è stato il più votato con 36 preferenze provenienti dall’ area degli ex 5 Stelle. Al secondo scrutinio ne ha ottenuti 39, come Sergio Mattarella, ed al terzo 61. Maddalena intendeva far valere un’opzione politica chiara anche se minoritaria e quindi ha annunciato il suo ritiro. Il professore si è comunque detto soddisfatto perché “la Costituzione ha ancora una favilla di luce. Quella luce che deve illuminare chi crede che la ricchezza di tutti debba essere nelle mani di pochi: i neoliberisti, che ci porteranno alla rovina. Presto non saremo più in grado di pagare le bollette. Abbiamo messo sul mercato i servizi pubblici essenziali, gas, luce ed acqua, e industrie strategiche comprese nel demanio costituzionale: unica difesa dagli assalti del mercato generale”.

Tra una votazione e l’altra Giancarlo Giorgetti, ministro dello sviluppo economico nel governo Draghi e storico vicesegretario leghista, ha ottenuto una ventina di voti che peseranno sugli equilibri interni del suo partito. Giorgetti, che è molto vicino a Draghi, dopo l’elezione di Mattarella ha anche minacciato le proprie dimissioni dal governo attestandosi su posizioni diverse e distinte da quelle di Salvini.

Al secondo scrutinio va anche ricordato Renzo Tondo, ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia ed appartenente al Gruppo Misto nella componente “Noi con l’Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro“, il quale ha ottenuto 18 voti. 

Al terzo scrutinio Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia, ha avuto un innegabile successo personale ottenendo 114 voti e risultando un candidato di bandiera tra i più votati, se non il più votato di tutti.

La quinta votazione del 28 gennaio è quella della spallata del centrodestra, che candida la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda carica dello Stato. Il nome è importante ma ha incontrato vari ostacoli, oltre alle critiche di Giorgetti che avrebbe detto: “Se fallisce che succede? Dovete chiederlo a Mario Draghi”. La candidatura della Casellati si è scontrata con i franchi tiratori del centro destra fermandosi a soli 382 voti, ben lontano dalla soglia di 505 elettori necessaria per l’elezione ma mantenendosi anche ampiamente al di sotto degli almeno 450 parlamentari, grandi elettori ed alleati della sua coalizione. Lapidario il commento della  presidente che ha dichiarato di essere stata offesa e tradita sia dal punto di vista personale che, soprattutto, da quello istituzionale. Va sottolineato che al quinto scrutinio il presidente Mattarella ha avuto 45 voti, ed a quanto sembra alcuni di questi sarebbero  venuti dal centrodestra.

Oltre alla candidatura di Draghi, mai ufficialmente avanzata e che restava ampiamente sottotraccia, tra i papabili rimaneva il già presidente della Camera Pierferdinando Casini, democristiano di lungo corso e deputato per ben nove legislature. Casini fin dall’ inizio era considerato un candidato tra i più forti e già due volte, nei primi scrutini, era spuntato il suo nome che aveva raccolto alcune preferenze, arrivando a contarne ben 52 al terzo scrutinio.

Era seguita una fase di incertezza che aveva determinato il suo ritiro, ufficializzato nel corso della settima votazione di sabato 29, al termine della quale avrebbe raccolto solo 10 voti. Consapevole dell’accordo nel frattempo raggiunto dalle forze politiche il presidente Casini si è rivolto al Parlamento, di cui aveva sempre difeso la centralità, per togliere il suo nome da ogni discussione chiedendo invece al presidente della Repubblica Mattarella la disponibilità a continuare il suo mandato nell’interesse del Paese.

L’ invito è stato puntualmente accolto ed all’ottavo scrutinio Sergio Mattarella è stato eletto presidente con 729 voti, 65 in più rispetto ai 665 del suo primo mandato quando peraltro aveva sfiorato la maggioranza dei due terzi. Come abbiamo già detto questo risultato è secondo solo al record di Pertini che nel 1978 ottenne 832 suffragi. 

Sul suo nome si è realizzata una sostanziale convergenza tra le forze politiche, con l’esclusione di pochi tra cui Fratelli d’Italia che ha deciso di votare il proprio candidato di bandiera, il già procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio che ha ottenuto 64 voti.

Il magistrato antimafia Nino di Matteo, presidente dell’ANM di Palermo, è stato invece votato dagli ex 5 Stelle e dalla componente del gruppo misto L’Alternativa c’ è ed ha ottenuto 40 voti.

Questa elezione blinda il quadro politico anche oltre la stessa Presidenza della Repubblica. Il governo ne esce rafforzato perchè con Draghi che resta alla guida dell’ esecutivo sarà possibile seguire la vicenda del PNRR fino a scadenza, ed anche con un certo grado di autonomia dei partiti che in questa vicenda si sono dimostrati deboli e divisi. Ciò permetterà di andare a votare a scadenza naturale della legislatura nella primavera del 2023, e come qualcuno osserva in questo modo deputati e senatori potranno anche maturare il loro vitalizio, una sorta di premio di consolazione dato che il loro numero è stato tagliato dalla Legge Costituzionale n. 1 del 2020 e ben pochi di quelli attualmente in carica potranno essere rieletti.

A conclusione di queste elezioni presidenziali inizia la resa dei conti all’interno dei partiti, come ad esempio il Movimento 5 Stelle, e più ancora delle coalizioni a cominciare dal centro-destra, dove è in corso una lotta per la leadership tra Fratelli d’Italia e la Lega mentre Forza Italia sembra orientarsi verso posizioni centriste.

In tutta questa vicenda è centrale il passaggio della legge elettorale, che sembra si stia evolvendo verso posizioni proporzionaliste lasciando alcuni scontenti.

In questi giorni Giorgia Meloni è stata molto decisa nel ricordare che prima delle elezioni i partiti della sua coalizione avevano escluso la rielezione di Mattarella, salvo poi cambiare idea, e che il suo partito è l’unico ad essere uscito da questa vicenda come ci era entrato. L’amara conclusione della leader di Fratelli d’Italia è che oggi il centro destra non esiste più.

TAG: partiti, Presidente della Repubblica, Sandro Pertini
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