Una madre ottantunenne ha tentato di uccidere a martellate in testa la figlia 47enne, “colpevole” di non volersi vaccinare contro il Covid. È accaduto il 31 gennaio in Via Bissuola a Mestre. La madre è agli arresti domiciliari, la figlia all’ospedale in prognosi riservata.
“L’ho colpita per ucciderla”, ha detto l’ottuagenaria ai poliziotti, aggiungendo di essere esasperata per le tensioni con la figlia novax.
Nella stessa giornata, a Rende, in provincia di Cosenza, un giovane insegnante di 33 anni sospeso e depresso (forse in segno di protesta contro l’obbligo vaccinale? Infuria la polemica), ha fatto un gesto estremo: si è dato fuoco. Il raccapricciante video della sua tragica fine è stato ampiamente visualizzato sui social, sui quali si continua a ipotizzare il legame con una mancata vaccinazione. I media d’informazione mainstream tacciono. Noi no.
Quanto sta accadendo in Italia e nel resto del mondo a causa di un vaccino (che peraltro non protegge dal contagio), indica che, nella percezione collettiva, non è soltanto rischioso abbracciarci, ma anche provare empatia, benevolenza, solidarietà. Umanità.
Allora una figlia novax diventa intollerabile perfino a sua madre, anche se (probabilmente) triplodosata. Perché l’anziana signora si è forse convinta, dopo un anno di telegiornaloni e giornaloni, che una figlia novax dentro casa sia un nemico terribile che va annientato. Che deve morire. E con lei, il più elementare e naturale affetto.
La probabile assenza di una rete di solidarità umana e materiale intorno a lui ha spinto l’insegnante suicida di Rendo ad auto-immolarsi sull’altare di un sacrificio terribile, che non scuote le coscienze ai piani alti.
Una modesta proposta: recuperiamo tutto. Recuperiamo la parte migliore del nostro essere “umani”. Respingiamo le derive d’intolleranza, suggestione e disperazione create da provvedimenti imposti con un linguaggio fortemente divisivo.
Leviamoci la mascherina dall’anima.