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Charles Dickens e il Canto di Natale – Parte 2

| 23 Dicembre 2021 | CINEMA, CULTURA, LIBRI, TEATRO

Il Canto di Natale  A Christmas Carol, di  Charles Dickens, diventa un classico per ogni Natale, scritto nel 1843 insieme a una raccolta di storie sui Libri di Natale e diviso in cinque parti. Il breve racconto, parte dei  romanzi sociali e associato al genere fantastico, oltre a una critica della società vittoriana sulla povertà e le condizioni di sfruttamento dei bambini è sicuramente tra i più toccanti del Natale. Tradotto in più lingue, adattato in teatro, al cinema, in fumetti e pubblicato in infinite edizioni. La prima in Italia risale addirittura al 1852.

Il Canto con la trasformazione del banchiere tirchio e ricco, in un vecchio buono e generoso e la visita dei tre spiriti con il Natale del passato, del presente e del futuro,  fanno del romanzo un connubio di denunce, poesia e fantasia. Scrooge resta sopraffatto dall’incontro iniziale con il fantasma di Marley,  suo socio in affari, morto proprio in una solitaria vigilia di Natale, che cerca di scuoterlo dal suo egoismo, lamentando la sua vita passata avara e inutile e le attuali punizioni inflitte che lo incatenano.

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Anche per Scrooge, il giorno di Natale è un tempo sottratto al lavoro, al guadagno, e i parenti sono solo uno scorbutico intralcio, compreso il nipote Fred, che viene allontanato dopo il suo invito per un Natale in famiglia. Insomma, il solitario usuraio è un avaro borghese che odia il Natale.  Sfrutta il suo dipendente lasciandolo cinicamente al lavoro e al freddo anche durante la festa. Fino a quando gli incontri con gli spiriti non stravolgono  in meglio la sua vita.

Il racconto, scritto in solo sei settimane tra tormenti vari e pubblicato il 19 novembre del 1843, con le illustrazioni di John Leech, si rivela un successo. E viene subito proposta una sceneggiatura teatrale appena sei settimane dopo. Inoltre, con la lettura del libro si diffondono vari modi di dire come lo stesso nome Scrooge, che diventa sinonimo di tirchio nel dizionario inglese e l’augurio allora in uso Happy Christmas, sostituito da Happy Christmas. La storia sollecita alla generosità facendo aumentare le donazioni per i poveri.

Altra curiosità,  sembra che Dickens abbia pagato per la pubblicazione del racconto, non avendo venduto il libro precedente. Somma poi ampiamente restituita, registrando il tutto esaurito già a Natale, con seimila copie, dopo solo pochi giorni di presenza nelle librerie. Considerando tra l’altro che non fosse proprio economico con le rilegature in velluto rosso e i bordi dorati.

Dickens ha il merito di aver contribuito alla diffusione del Natale moderno,  attraverso i suoi scritti con lo scambio dei regali, una maggior attenzione alla bontà e alla preparazione dell’albero a cui dedica una storia. Aggiungendo il dono del gustoso tacchino, sempre più in uso sulle tavole inglesi. E tracciando il percorso delle attuali tradizioni e ritualità.

Infatti,  durante il periodo vittoriano, il Natale per i religiosi viene vissuto in modo sobrio e solo dopo diventa una festa sacra. Il lavoro inoltre, non prevede interruzioni nelle fabbriche o pause per celebrare le ricorrenze. Senza contare la povertà estrema per tanti, che non consente di dedicarsi a nessun tipo di festa. Tema questo molto sentito da Dickens, che spesso passeggia nelle zone malfamate e scrive anche un saggio sulle condizioni dei poveri e lo sfruttamento dei bambini. Idee riproposte poi in Canto di Natale per farle veicolare più facilmente e sollecitare al miglioramento delle condizioni di vita dei bisognosi e dell’infanzia e alla lotta dell’analfabetismo.

Attraverso la favola e la sua morale, Dickens narra fatti storici, come la Rivoluzione industriale e la responsabilità della borghesia affarista ed egoista, che sfrutta i più poveri a proprio vantaggio. Fissando attraverso il racconto, la vita quotidiana  della società vittoriana con i suoi abusi, e su cui la sua ironia come una mannaia puntualmente cade: “Quale nobile esempio delle soavi leggi inglesi! Permettono ai poveri persino d’andare a dormire!”.
Per lo scrittore comunque,  ogni essere umano può contribuire al miglioramento sociale con piccole azioni, proprio come quella di Scrooge, che al suo risveglio il giorno di Natale si mostra un uomo nuovo. Infatti, dona qualcosa ai poveri, si reca dal nipote, regala un grande tacchino a Bob, il suo dipendente, dandogli anche un aumento, che gli permette di curare il figlio malato.

Non sono mancate le critiche al racconto, sull’uso dei tanti luoghi comuni di una povertà santificata e una felicità irreale nella condizione d’indigenza. Eppure il racconto per quanto semplice o stucchevole per alcuni, ancora funziona bene per tanti. Riesce nel suo intento, rendendo il lettore parte della storia e contagiando con il suo spirito benevolo e la giusta ironia“Era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento”. 

Le opere di Dickens si rivelano un rifugio sicuro, per sbirciare in un’epoca, tra le misere strade  londinesi, fredde e cupe. In balia di personaggi sinistri,  per poi consolarsi nel calore della neve o in un tirchio rugosoche per incanto si illumina. Ed ecco che seppur per poco, in un attimo, in quella quotidiana nebulosa e secca aridità, appare e si ripete ancora timido e traballante il vecchio Natale.

“Il freddo che aveva di dentro gli gelava il viso decrepito, gli cincischiava il naso puntuto, gli accrespava le guance, gli stecchiva il portamento, gli facea rossi gli occhi e turchinucce le labbra sottili, si mostrava fuori in una voce acre che pareva di raspa. Sul capo, nelle sopracciglie, sul mento asciutto gli biancheggiava la brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio né giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale. Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c’era vento più aspro di lui, non c’era neve che cadesse più fitta, non c’era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L’acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai”.

“Ci sono molte cose, credo, che possono avermi fatto del bene senza che io ne abbia ricevuto profitto e Natale è una di queste… un periodo di gentilezza, di perdono, di carità, di gioia… nel quale uomini e donne sembrano concordi nello schiudere liberamente i cuori serrati e nel pensare alla gente che è al di sotto di loro come se si trattasse realmente di compagni nel viaggio verso la tomba, e non di un’altra razza di creature in viaggio verso altre mete”.

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