
Per Silvana De Mari ogni occasione può essere buona per infangare ed esporre alla gogna mediatica una categoria. Da qualche anno, la celebre dottoressa, dopo una vita spesa nel campo della chirurgia, della psichiatria e nel mondo delle fiabe per bambini, ha trovato una sua strada nella destra clericale reazionaria, simpatizzando per il partito Il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi e scrivendo in rete o sulle pagine del quotidiano La Verità articoli impregnati di astio, se non odio, verso ogni forma di diversità sessuale.
La svolta verso le destre più repressive è una moda che negli ultimi anni ha conquistato esponenti dei mondi più disparati. Star in fase calante di carriera hanno approfittato dei social per vivere una nuova giovinezza, attaccando ogni diversità, dal mondo omosessuale a quello non autoctono. A Hollywood, un grande attore come James Woods è finito per recitare la parte del fanatico di Trump su Twitter; Lorella Cuccarini si è fatta paladina della famiglia, minacciata dal fantomatico “gender”; Enrico Montesano si è dato al complottismo sul Covid. Lo stesso Adinolfi, ex Pd e pokerista ludopatico, ha trovato nell’omofobia e nella difesa della famiglia tradizionale una nuova visibilità.
La De Mari, apprezzata autrice di libri per ragazzi oltre che medico, si è ritagliata un suo spazio nella galassia delle nuove destre, postando video in cui insulta la cooperante Silvia Romani all’indomani della sua liberazione, provando disgusto per i transessuali o scrivendo attacchi alla perversione, a suo dire, del sesso anale.
Ultimamente si è scagliata contro le droghe, in particolare quelle leggere, che molti vorrebbero depenalizzare o legalizzare. Con il suo classico piglio provocatorio, l’anziana dottoressa invoca punizioni penali e pecuniarie anche ai solo possessori di hashish o marijuana. Queste pene sarebbero secondo lei fondamentali per dissuadere al consumo di sostanze dannose. Sarebbe interessante sapere cosa pensa del tabacco o dell’alcol.
In un articolo pubblicato il 28 gennaio su La Verità, la De Mari ci informa che tra tutte le persone consumatrici di droghe leggere di sua conoscenza, non ve n’è una intelligente. Sarebbe interessante sapere quanti cannaioli conosce. Tra le solite banalità dell’articolo, per cui tutti i tossici eroinomani hanno iniziato con uno spinello (tesi smentita anche da alcuni ragazzi di San Patrignano), la De Mari ci infila una perla delle sue. Sul quotidiano diretto da Maurizio Belpietro scrive che nella maggior parte dei casi di bambini picchiati o abusati dai genitori, la colpa è da ricondurre anche alle droghe. Indirettamente scrive che il passo dalla canna alle botte al bebè è breve.
La De Mari però aggiunge un altro tassello alla sua analisi. Ricorda che nella maggioranza dei casi, ad abusare dei bambini non sono i genitori naturali, ma i patrigni. Tra le righe si legge un suo totale astio verso le forme di famiglia non tradizionale. Con padre, madre e figli si va quasi sempre sul sicuro; con altre forme di famiglia no. Le coppie separate non le piacciono, quindi perché non criminalizzare i “compagni della madre”, spesso sbattuti in prima pagina dopo tragici casi di cronaca nera? Scrivendo su Google “compagno della madre” purtroppo escono principalmente casi di cronaca che vedono i patrigni commettere i peggiori reati a discapito dei figliastri. Lo stesso termine “patrigno” non suona bene come l’anglofono “step-father”, nonostante il cinema yankee ci abbia spesso presentato la categoria come popolata da sadici assassini. Lo stesso si potrebbe dire della matrigna, malvagia fin dai tempi di Cenerentola, ma oggi la cronaca nera parla principalmente di crimini commessi da uomini. Anche il numero di mariti o fidanzati che commettono violenze è alto (e spesso non denunciato); ma se si digita su un qualsiasi motore di ricerca “marito” o “fidanzato” non compaiono solitamente casi di cronaca nera.
Il patrigno, leggendo l’analisi della De Mari, è molto più portato a fare del male ai figli della compagna. Quest’ultima porta il peso di una colpa: l’aver lasciato il padre della sua prole per un altro. Come la più analitica propaganda antisemita del secolo scorso ricordava l’alta percentuale di strozzini o banchieri giudei, così la De Mari invita i suoi lettori a diffidare, se non a disprezzare, i patrigni, possibili molestatori e picchiatori di pargoli.
Tra le righe di questa affermata medico e scrittrice, che probabilmente prima dei suoi successi di carriera si sarebbe ben guardata dall’esporre certe tesi, si può leggere un implicito linciaggio verbale di patrigni, famiglie miste, consumatori di cannabis e immancabilmente omosessuali. Questi ultimi sono abituali fruitori, sempre secondo i suoi articoli, di chemsex, la droga dello stupro.
Le diversità non devono piacere per forza. Alcuni arrivano però a odiarle. E siccome distruggerle è impossibile, salvo nuovi olocausti, si preferisce propagandare esecrazione verso di loro. La De Mari usa un inchiostro che sa di fiele, forse neanche per personale convinzione, ma più per raggiungere quella parte di cittadinanza che non ha voluto accettare quei comportamenti che si differenziano dal loro. Così la vegliarda dottoressa espone al ruolo di sospetti malevoli una platea di persone che non ha colpe, se non quella di non rispondere ai canoni che una minoranza vorrebbe imporre a tutti.
Gli articoli della De Mari contribuiscono a diffondere astio verso gli omosessuali, le coppie separate, le mamme single, i patrigni, i consumatori di droghe leggere, le donne italiane che osano mettersi con stranieri e ogni forma di appartenenza alla galassia LGBT.
Ti sposi con un africano? Non sorprenderti se poi ti picchia. Partecipi a festini gay? Non lamentarti se prendi l’Hiv. Hai lasciato tuo marito per un altro? Non piangere quando ti stuprerà i figli. Non sei eterosessuale? Hai bisogno di cure. Forse però è l’autrice di certi articoli ad averne bisogno. Lascio a chi di dovere fare un’analisi psichiatrica del soggetto.
In occasione della Giornata della Memoria la De Mari è arrivata a dire che i gay non finirono nei campi di concentramento, ma furono vittime solo del comunismo. Che sia un messaggio criptico per dichiarare il suo amore per Stalin? La De Mari ha trovato un suo spazio in una galassia web zeppa fino all’orlo di intolleranti e ignoranti. Che andrebbero, questi ultimi, indottrinati, non essendo stata sufficiente l’istruzione. Ma come ha fatto una stimata studiosa ad arrivare a posizioni simili? Ci vorrebbe uno psichiatra e la De Mari è laureata in psichiatria cognitiva. Forse è una sua indagine sociale, anche se si potrebbe pensare a prime forme di demenza senile. O, più probabilmente, come è tipico di certe persone arrivate alla vecchiaia, voglia di sentirsi considerati, nel bene e nel male. Questo mio articolo finisce per accontentarla.