Tutti noi ne abbiamo sentito parlare, in particolare tutti quelli che hanno avuto a che fare con una diagnosi di tumore, propria o di un loro familiare.
Si tratta di quella stanchezza estrema, fisica, psicologica e cognitiva, che impedisce alle persone di mantenere la stessa qualità di vita precedente alla malattia. E’ quella mancanza di forze, ma anche quella profonda voglia di far nulla che colpisce gran parte dei pazienti oncologici.
Secondo la dott.ssa Fabi dell’Istituto Regina Elena di Roma, “La fatigue si differenzia da altri tipi di stanchezza per la sua persistenza e per l’incapacità di alleviarla attraverso il riposo o il sonno ristoratore”. La dott.ssa spiega anche che pazienti con un’intensità alta di fatigue possono avere livelli molto diversi di disabilità.
Addirittura, secondo Riccardo Torta e Antonio Mussa, autori di PsicOncologia, Il modello biopsicosociale (Centro Scientifico Editore, 2007)) “La fatigue, nel senso di esaurimento delle risorse fisiche, emozionali, spirituali e familiari aumenta il rischio di suicidio”.
Secondo le statistiche, ne sono colpiti l’80-90% dei pazienti sottoposti a cure chemioterapiche, radioterapiche e a immunoterapia, ma anche, e questo dato colpisce molto, il 40% di coloro che hanno appena ricevuto una diagnosi di malattia oncologica. Addirittura nel 20% dei casi questa sensazione di mancanza di energie persiste per anni dopo le cure.
Che ci sia un forte stress, o più specificamente distress, collegato alla malattia oncologica? Questo è stato ampiamente dimostrato, così come e’ stato ampiamente dimostrato come la fase diagnostica sia uno dei momenti più stressanti dal punto di vista emozionale per il malato con annesso un rischio maggiore di reazioni psicopatologiche di tipo ansioso/depressivo.
Finalmente, dopo uno studio ventennale, che comprende un’accurata revisione delle evidenze scientifiche più importanti al riguardo, sono state pubblicate le Linee Guida Europee, (ESMO, European Society of Medical Oncology), un prezioso strumento di grande aiuto ai clinici.
Secondo le linee guida europee, validi strumenti per combattere la fatigue si sono rivelati l’esercizio fisico, tecniche di mindfulness, yoga e interventi psicosociali, soprattutto terapia cognitivo-comportamentale.
Mentre sull’utilità dell’esercizio fisico e del supporto psicologico se ne è discusso spesso, di questa nuova pratica, ossia la Mindfulness, legata alle patologie oncologiche, se ne è parlato ancora poco.
Il concetto di Mindfulness affonda le sue radici nelle tradizioni contemplative buddhiste. Ma la persona che ha tradotto gli insegnamenti buddhisti in concetti applicabili alla realtà moderna è stato Jon Kabat-Zinn, ricercatore universitario del Massachusets. E’ colui che è riuscito negli anni ’70 a tradurla in modo laico e accessibile a tutti, facendone emergere il valore scientifico per il quale è stata poi applicata in ambito terapeutico. Egli praticava la meditazione con benefici personali, quando per lavoro entrò a contatto con malati cronici e terminali, sui quali cominciò ad applicare la mindfulness. I risultati furono cosí significativi che ideò il primo protocollo MBSR sulla riduzione dello stress (Mindfulness Based Stress Reduction), un protocollo di due settimane nelle quali insegnava ai suoi pazienti ospedalieri affetti da diverse patologie un modo diverso di stare con la loro esperienza e, di conseguenza, anche e soprattutto con la loro malattia. Negli ultimi decenni la meditazione basata sulla consapevolezza ha conosciuto una sempre più ampia diffusione nella società.
Chi riceve una diagnosi di cancro vive immediatamente una sensazione di incertezza, proprio per la peculiarità di questa malattia, che potrebbe progredire velocemente o riproporsi in altri momenti. Si aggiunge una sensazione di perdita di controllo del proprio corpo e della propria vita.
La Mindfulness offre un nuovo modo di rapportarsi al trauma e alla sofferenza, eliminando così le strategie di evitamento e la ruminazione (incapacità di lasciare andare i pensieri relativi all’esperienza dolorosa di malattia, ma anche pensieri sul passato o preoccupazioni sul futuro). La pratica della Mindfulness infatti rende possibile un’alternativa: anziché fondersi nei propri pensieri disfunzionali, le persone possono imparare a interrompere processi automatici di pensiero e di comportamento e a riconoscere ciò che sta accadendo nel qui e ora. In questo modo le persone potranno giungere ad una consapevolezza diversa. Ad oggi sappiamo (Shaw, Università di Sidney, 2018) che le persone con diagnosi di cancro che hanno partecipato ai gruppi Mindfulness hanno avuto un significativo impatto in termini di riduzione dello stress, di miglioramento dei sintomi fisici e dei disturbi dell’umore (ansia e depressione), di un aumento della qualità di vita e di una riduzione dei disturbi del sonno.
“Una serie di studi pubblicati nell’ultimo decennio su riviste internazionali di Medicina Psicosomatica e Medicina Integrativa per il Cancro hanno documentato gli effetti dell’MBSR sui sintomi che maggiormente affliggono i pazienti oncologici: fatica, qualità del sonno, dolore, nausea, stati di ansia, depressione e rabbia. Non solo: anche la produzione di citochine infiammatorie mostra uno spostamento da un profilo tipico dello stato depressivo e del cancro ad un profilo più fisiologico”, come afferma il dott. Bonucci, Presidente Artoi.
Trish Barteley ha ideato nel 2009 un nuovo modello di MBCT per il cancro (MBCT-CA), in collaborazione con Ursula Bates, direttore dei servizi psicosociali al Blackrock Hospice di Dublino.
Conoscere ed usare il protocollo Mindflness appositamente ideato per i pazienti oncologici (protocollo MBCT-CA) darà la possibilità ai pazienti di assumere un ruolo attivo nella gestione del proprio benessere, di non fondersi con i propri pensieri, emozioni e sensazioni dolorose e di imparare come accettare in modo consapevole quello che non si può cambiare, scoprendo i benefici di vivere momento per momento.