Ha destato orrore e sdegno la morte del giovane Willy Monteiro Durante, nel piccolo borgo di Paliano in provincia di Frosinone.
Nelle cronache che, negli ultimi giorni, si arricchiscono di particolare utili alle indagini, si possono ritrovare numerosi elementi di discussione.
Le periferie, il disagio giovanile, la voglia di vivere, l’integrazione, la politica, il senso di appartenenza.
Ed ognuno di noi partorisce un suo giudizio sul tragico fatto.
Chi scrive aveva più o meno vent’anni nei primi anni novanta e viveva in una città del Nord’Est d’Italia.
Studente universitario, amava la vita accademica e gli incontri con i colleghi di studio in Ateneo.
Accanto ai libri di testo, su cui avrebbe dovuto soffermarsi di più, frequentava i campi di calcio e i numerosi locali della sua Città, che amava ed ama.
I locali, i bar, i pub, ma anche i ritrovi parrocchiali o le Acli erano luoghi di aggregazione, visto il carattere laico della città di cui sopra.
Certo, qualcuno è fallito, qualche altro dismesso, ma molti sono ancora là, e sono sullo stradario cittadino.
E non possono che infondermi un senso di piacevole ricordo, quando ci passo davanti.
Tra il 1986 e il 2006, tanto per intonare un arco temporale, molto è cambiato nelle dinamiche di approccio sociale in una realtà urbana (vedasi un Comune di medie dimensioni), e nelle modalità istituzionali di proporre ai giovani, ambiti e spazi adeguati alle loro esigenze.
Vi è che, ad ogni buon conto, gli “spazi” territoriali dei singoli ancora venivano ben tollerati, se si adoperava un minimo di buonsenso.
Ritornando con la mente a quegli anni, ricordo locali frequentati da persone con un bagaglio personale “pesante”, per usare un eufemismo.
Eppure, una sorta di “limbo dantesco”, limitava il nostro perimetro di studentelli, da quello di soggetti che avevano una “crosta” di esperienze da far venire i brividi.
Vi era da parte nostra una curiosità di conoscere questi personaggi, come da parte loro quella di sapere “a che punto erano i nostri studi” (Sic!).
Questo un po’, in sintesi estrema, il mio ricordo.
In questi giorni, molti autorevoli protagonisti della vita pubblica, hanno dato le loro personali interpretazioni su questo terribile fatto di cronaca.
Politici, Psichiatri, Criminologi, Sociologi.
Li ho ascoltati e, sicuramente, hanno espresso giudizi di merito.
Credo che una riflessione andrebbe posta su cinque realtà che condizionano, ogni giorno, il nostro vivere.
Sono realtà la cui importanza crescente o decrescente è lasciata al giudizio del lettore.
Famiglia ed Educazione rivestono un ruolo fondamentale.
Educazione intesa non come conoscenza della storia, della matematica o del lessico grammaticale.
L’educazione impartita dalla famiglia al rispetto, all’aiuto, alla comprensione dell’altro.
Un’educazione che è nelle basi elementari dell’essere umano e che, oggi, appare ancorata a valori superficiali.
Naturalmente quanto detto mai potrebbe applicarsi alla totalità delle persone, ma vedo una mancanza molto significativa in questo senso.
La famiglia è sempre al centro delle vicende quotidiane, anche avverse.
Essa è il perno intorno al quale si costituisce una comunità di persone.
Ultimamente il ruolo delle famiglie ha avuto un ruolo di “buen retiro”, favorendo e tollerando comportamenti che mal si conciliano con il ruolo educativo che compete loro.
La causa è duplice e concatenata.
Da una parte la Società che ha smesso di offrire valori positivi o che ha mutuato il posto e il ruolo che le compete con le più moderne forme di comunicazione.
Dall’altra il ruolo “anarchico” della Rete che ha individuato, in una serie di comportamenti e soggetti, modelli a cui ispirarsi.
L’apparire, l’omologazione a canoni banali e di facciata, ha impoverito sia l’utente giovane (l’adolescente), che l’utente anziano (la famiglia come modello di riferimento).
Ne scaturisce un “laissez – faire” generalizzato che sfocia da, parte dei più giovani e strumentalizzabili, in comportamenti “copia e incolla” facilmente attuabili.
Naturalmente quanto detto mai potrebbe applicarsi alla totalità delle persone, ma vedo una mancanza molto significativa in questo senso.
Si è dibattuto molto circa la componente etnica del ragazzo ucciso ovvero della presunta appartenenza politica degli indagati.
La lotta politica, intesa come rivendicazione violenta delle proprie idee, ha un trascorso lunghissimo, affidato agli studi e ai giudizi di autorevoli accademici.
In queste poche righe non si intende etichettare il movente o il “quid” da cui è scaturito tutto.
La violenza ristagna tanto nella Destra, quanto nella Sinistra.
E pervade anche il Centro, sia pure in forme più larvate e convenzionali.
Ad essere onesti, mi manca quella sana ed ingenua stupidità degli anni novanta, e ricordo con affetto quando si telefonava col gettone.
Sciocchezze, si dirà, certo.
Ma ricordo ancora con dolore quel ragazzo costretto sulla sedia a rotelle, “sparato” a Roma per sbaglio.
O quel ragazzo stuprato con un tubo nel napoletano, così per scherzo.
In fondo errori, bravate.
“Cum tacent, clamant”. Cicerone