La commedia teatrale dello scrittore, poeta e drammaturgo irlandese Samuel Barclay Beckett (1906-1989), “Aspettando Godot”, scritta prima in francese “En Attendant Godot” e poi anche in inglese, esprime il dramma umano in una perenne condizione di attesa, legata al teatro dell’Assurdo.
In questo periodo l’opera risulta molto attuale e vicina a uno stato d’animo generale d’inquietudine, per un futuro incerto in un tempo sospeso. La tragicommedia in due atti, scritta negli anni Quaranta e pubblicata nel 1952, viene rappresentata un anno dopo al Théâtre de Babylone di Parigi.
La scena si presenta spoglia con i due protagonisti “Vladimir (chiamato anche Didi) ed Estragon (chiamato anche Gogo)”, che “stanno aspettando su una desolata strada di campagna un certo “Signor Godot”.
La figura di Godot potrebbe essere una persona, o situazione, in grado di cambiare il corso della loro esistenza, l’occasione determinante, per i due vagabondi.
L’ambiente essenziale, mostra oltre ai protagonisti una strada, un albero nudo, che si copre con qualche foglia solo nella seconda parte. L’attesa sembra non interrompersi mai, e ogni giorno si conclude con la visita di un ragazzo, che rimanda l’arrivo di Godot al domani.
Il tempo trascorso tra i due conviventi viene evidenziato dalle foglie secche, uniti non per affetto, ma dal bisogno. Nei tanti silenzi e “attraverso i loro discorsi sconnessi e superficiali, inerenti ad argomenti futili e banali, che emerge il nonsenso della vita umana”. Divagano, si assentano nei ricordi, pensano persino al suicidio.
Si aggiungono in due momenti diversi nel dramma altri due personaggi Pozzo, il proprietario del terreno dove la storia si svolge e Lucky, il suo servo, legato “al guinzaglio con una lunga corda”, che nel tempo si riduce per “indicare la soffocante simbiosi dei due”.
Le due figure possono essere identificate con Pozzo il capitalista e Lucky il proletariato, tirato al laccio del potere. Secondo alcuni studiosi come R. Barone, il nome Godot, scelto da Beckett potrebbe essere formato da “go e dot, tradotto va e fermo, poiché dot in inglese è punto”.
Esprimendo forse lo scrittore nel nome la condizione statica dell’uomo nella sua ripetitività e la difficoltà di modificare “la sua posizione” e la sorte. Tutto resta “immobile”, uguale seppur diverso, nonostante il defluire del tempo, ma simile nella sostanza.
Non ci sono mai cambiamenti radicali, e la vita tende a riproporsi con i soliti toni grigi, di resa, come se gli anni, le stagioni fossero un’unica sequenza dello stesso nastro. Eppure “niente è più reale del nulla”.
Neanche Beckett sembra riconoscere la sua creazione: “Non so chi sia Godot. Soprattutto non so neanche se esiste. E non so neppure se quei due che l’aspettano ci credono o no”.
L’opera diventa una metafora sulla condizione umana priva di senso, che per tutta la vita spera in qualcosa che si vanifica. Una speranza amara e disillusa di fronte al nulla che passa. “Aspettando Godot ha rivoluzionato il mondo del teatro e ha reso Samuel Beckett un autore famoso a livello mondiale”.
Contribuisce la sua commedia alla nascita del teatro dell’Assurdo, influenzando anche “Harold Pinter ed Eugène Ionesco, che condividevano l’idea di Albert Camus, che la vita è assurda e priva di significato”. Il termine Teatro dell’Assurdo viene poi introdotto da Martin Esslin.
L’autore esprime attraverso quest’opera originale il suo pensiero pessimista sull’uomo, in balia della solitudine e del nulla. “Non succede niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile”.
Tutte le azioni proposte tra i due, vengono ripetute, prigionieri di un ossessivo presente, che non permette una progettualità futura, se non in una vaga speranza annunciata sistematicamente e che perde valore proprio nella mancanza di novità.
Il tempo, l’assurdità della situazione e l’incomunicabilità viene espresso in un linguaggio apparentemente semplice, ma filosoficamente complesso.
Facile pensare a quanti si sentano il Godot della situazione, lasciati ad aspettare qualcosa, che viene sistematicamente rimandato. Bloccati nel ciclo delle stagioni con le sue metamorfosi, in un limbo chiamato vita.
E sempre nel nulla invecchiando nell’illusione, che delude l’attesa. Più o meno a tutti, appassionatamente e a turno, capita di vivere sotto lo stesso albero senza neanche saperlo e aspettare di volta in volta il domani.
Fino a quando sbiancati e indeboliti, il domani non esiste più e si diventa senza neanche saperlo passato. Oppure si potrebbe cambiare la trama, arricchirla muovendosi, abbandonando l’attesa e agire, per ricreare una nuova commedia più simile all’occasione voluta.
Certo, appena i “decreti pandemia” lo permettano. E allora forse anche l’illusione diventa costruttiva, dinamica, per credere ancora che Godot esista, arrivi, ed è solo in ritardo. Magari cercarlo oltre l’albero e andare verso l’altrove, superando la solita strada per abbandonarsi alla conquista dell’ignoto. D’altronde come scrive lo stesso Beckett:
“Hai mai provato? Hai mai fallito? Non importa. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.”