La penna, questa sconosciuta. Questo sempre più inutile strumento che ci accompagna fedelmente dal 3000 a.C. La penna con la quale l’uomo ha trasmesso la sua storia, le sue conoscenze. Chiedete a un sedicenne di usarla per scrivere più di una pagina. Vi guarderà con aria infastidita. Provate a chiedere a un rappresentante della categoria cosa sia un amico di penna. Sguardo sorpreso nel migliore dei casi.
Vi sedete pazientemente e provate a spiegarglielo. L’interesse del sedicenne, anche di quello educato, è in caduta libera. Vi infervorate. Ricordate perfettamente il nome del/la vostro/a, amico/a di penna. La mia si chiamava Stefania, e abitava a Perugia.
Il pensiero vola agli anni in cui vi scrivevate, affidando a quelle pagine indirizzate a qualcuno che abitava lontano da voi pensieri, speranze e sentimenti. Alla magia della buca delle lettere, nella quale lasciavate scivolare pezzetti della vostra vita. All’attesa della risposta, alla gioia di quando il postino consegnava quella lettera tutta vostra. All’attenzione con cui esaminavamo il francobollo. Alla porta della camera chiusa, perché quelle lettere erano segreti preziosi da custodire.
Parlate di tutto questo al sedicenne, che inizia a cercare con sguardo inquieto smartphone, tablet e controller dei videogiochi.
Niente da fare, è perso. A scuola gli insegnano le caratteristiche del romanzo di formazione, ma nessuno gli dice che il “suo” romanzo di formazione potrebbe scriverlo da solo. Attraverso lettere, risposte alle sue lettere, condivisioni. Di cosa? Di tutto. Di bravate, amori, turbamenti, ribellioni, schermaglie, piccoli complotti.
C’è una saggezza profonda nell’affidare tutto questo alla carta – e non ad un computer, o un tablet, o uno smartphone. Nel tempo che intercorre tra il pensiero e l’azione – la scrittura – il pensiero si chiarisce, si mette a fuoco. La scrittura rivela il nostro stato d’animo. E senza essere grafologi, né animi particolarmente sensibili, ma semplicemente attenti amici di penna, i segni particolari che abbiamo riconosciuto nella scrittura di chi ci ha scritto, ci hanno parlato tra le righe.
E abbiamo capito, o creduto di capire, o immaginato. Forse ci abbiamo preso, forse invece abbiamo preso delle clamorose cantonate. Non importa. Anche quella è stata scuola di vita, di una vita che oggi si vive – e soprattutto si condivide – sempre meno: quella dell’anima. E se, quando abbiamo scritto, abbiamo cancellato e riscritto, abbiamo accartocciato mille volte il foglio perché mai soddisfatti di quanto rileggevamo, abbiamo dato sacrosanto diritto di cittadinanza ad un pensiero che non aveva paura di migliorarsi.
E poi un giorno, forse d’estate, durante le vacanze, lo abbiamo incontrato davvero il nostro amico di penna. Lo abbiamo visto in carne ed ossa, riconosciuto somiglianze e differenze con quella foto sbiadita che ci aveva inviato all’inizio della corrispondenza. È stato imbarazzante, emozionante, divertente? Abbiamo mantenuto questo contatto attraverso gli anni? Chiunque abbia avuto un amico di penna ha una storia unica da raccontare.
Torniamo al sedicenne che non sa chi sia l’amico di penna (e se anche lo sapesse, è improbabile che vorrebbe scrivergli). E’ il mago del computer, l’amico di Windows, il genio di Zoom, quello che con Google Translate parla tutte le lingue… ma provate a fargli compilare la busta di una lettera da spedire per posta. Vi auguro di non dovervi sorprendere.
I nostri figli sanno scrivere, soprattutto al computer. Se vogliono scrivere a un amico, gli mandano un’email. Clic, andata. Se l’amico è collegato, poco dopo arriva il suono della notifica, ed ecco la risposta. L’emozione dell’attesa dura poco. E forse, non è più un’emozione.