
Quando pensiamo alla musica degli anni ’70 è impossibile non provare delle emozioni, un po’ per i capolavori che il decennio ci ha lasciato e un po’ per l’idea romantica dell’artista che l’epoca ha portato con sè, un’idea che oggi probabilmente non c’è più ma che continua comunque a esercitare un grande fascino anche sulle nuove generazioni.
Dov’è finito il cantautore solitario che con la sola forza della propria chitarra cammina di città in città tra i felici successi ed i fischi ai concerti? Dove sono finiti il blues e il desiderio di raccontare la propria anima? Dov’è finita la magia?
Molte volte ci siamo posti domande simili, e molte volte ce le siamo sentite ripetere dagli amanti del rock e delle grandi band, ma se lasciamo da parte ogni nostalgia ci accorgiamo che non tutto è andato perduto.
Gli anni ’70 (e prima i ’60) erano per definizione anni di scoperta, in cui tutto sembrava ancora da provare e dove il concetto di avventura era spesso una costante. La società, sulla scia del 1968, stava continuando la sua trasformazione nel nome del progresso e si preparava a compiere i primi passi verso una vera globalizzazione.
Negli anni ’70, in cui erano ancora influenti le speranze delle grandi ideologie, il desiderio per un’umanità più giusta e pura, almeno da parte degli artisti, era fonte di moltissime creazioni. Musicisti ed intellettuali venivano tenuti in grande considerazione e le loro testimonianze erano spesso centrali nei dibattiti più importanti.
C’era interesse per la riflessione sulle dinamiche del proprio tempo e c’era interesse per la figura dell’artista, forse perchè, in un mondo che stava iniziando a spingere sull’acceleratore giorno dopo giorno, quella figura conservava ancora tratti di autenticità, con il suo semplice invito a fermarsi anche solo per una dolce melodia suonata in acustico.
Sono molte le parentesi che si potrebbero aprire. Queste sono solo alcune. Il punto è che negli anni ’60 e ’70, oggettivamente molto di più che oggi, c’erano diverse cause che partecipavano alla creazione di un contesto dove la magia era diffusa e capace di interessare in particolar modo la sfera artistica e musicale.
Qui sotto potete ascoltare “The Road” di Danny O’Keefe, un brano del 1972 che racconta la vita di un cantante in tournée tra incontri, solitudini e nuove canzoni ancora da comporre.
La nostalgia, soprattutto se la speranza è quella di ritornare in qualche modo a vivere in un ambiente simile a quello sopracitato, non è in alcun modo d’aiuto. Chi ha detto che tutto questo -seppur in forme diverse perchè diversi sono i tempi- non possa verificarsi di nuovo? Chi ha detto che tutta questa magia non possa già essere presente? Forse va soltanto cercata, ascoltata, stimolata e riformulata.
Se è vero che quarant’anni fa il contesto di partenza era migliore, oggi non è detto che un nuovo contesto non possa essere edificato. Unendo le forze è possibile cercare di cambiare le cose in vista di un presente dove l’arte abbia più rilievo. La strada non è semplice ma potrebbe rivelarsi ricca di sorprese.
Non è nemmeno detto, se ci pensiamo, che un contesto ottimale non sia già presente. In questo caso si tratta di ascoltare il proprio tempo e di cercare di penetrarlo. Quello che manca ai nostalgici, ai pessimisti o agli insoddisfatti del proprio periodo storico è forse la volontà di guardare al presente senza confrontarlo con il passato o senza negare l’esistenza di una luce che potrebbe, anche se non si sa ancora come, emergere con nuove prospettive.
Per quanto riguarda l’idea della scoperta valgono le stesse considerazioni. Negli anni ’60 e ’70, la scoperta aveva ancora un grande valore. C’era il giusto contesto, d’accordo, e c’erano ancora molte cose da scoprire.
Il mondo appariva, o magari era realmente, più ingenuo e curioso. Oggi, invece, con un’arrogante presunzione, abbiamo come la sensazione che tutto sia già stato scoperto. Ma siamo sicuri che sia così? Non è che questo atteggiamento ci fa perdere di vista il senso dell’avventura e della curiosità che sono prerogative irrinunciabili dell’essere umano sia individualmente sia in senso collettivo? Nulla sarà mai scoperto fino in fondo, d’altronde.
E le stesse cose, anche a distanza di mesi, anni, decadi e persino secoli, avranno sempre qualcosa di nuovo da dirci. Cambiamo noi e cambiano i tempi. Cambiano i problemi e cambiano le risposte. Ma molte cose rimangono le stesse. Dobbiamo solo re-imparare a interrogare il circostante.
La magia, cioè l’incanto, è sempre presente nelle nostre vite. Magari ha cambiato forma, posizione, simboli e percorsi ed è divenuta plurale e diversificata; magari, ad esempio nella musica, tende ad identificarsi non più soltanto con il rock e con la sua narrazione ma anche con altre sorprendenti trovate.
Magari estende il proprio raggio d’azione in nuove direzioni, creando altre idee e portando alla luce argomenti e segni ancora sconosciuti, e magari racconta le stesse cose ed emozioni di prima ma con parole e stili diversi. Tutto qui.
Il problema, infatti, per chi rimpiange un certo tipo di musica (e in particolare il grande rock dei classici o il cantautorato della tradizione), è legato in gran parte al mainstream, e cioè alla “corrente principale”, che coincide con la corrente più diffusa dal punto di vista commerciale.