Federico II, nasce il 26 Dicembre 1194 a Iesi, da padre tedesco (Enrico VI) e da madre normanna (Costanza di Altavilla), rimane orfano a 4 anni. Affidato dalla madre alla cura di Innocenzo III, vive a Palermo, crocevia di culture e lingue diverse.
Padrone di sei lingue, e legislatore, protettore di dotti e di artisti. Appassionato di ornitologia, scrive un trattato dedicato alla caccia del falco, il De Arte Venerandi. È abile soldato e perfino musicista. Senza dubbio, Federico è una delle figura più complesse e affascinanti della storia e ha sempre suscitato posizioni contrastanti anche nei suoi contemporanei.
Dante, che pur lo colloca tra gli eretici, nel De Vulgari Eloquentia loda “Federico imperatore e Tancredi degnamente nato da lui” perché vissero da uomini sdegnando di viver da bruti” e fa dire a Pier delle Vigne che il suo imperator “Fu d’onor sì degno”. Flagellatore della corruzione, il puer Apuliae e accusato di ateismo o, come allora si diceva, di essere seguace della filosofia epicurea. Si spegne a soli cinquantasei anni nel 1250.
I contemporanei, riconoscono l’eccezionale personalità al punto di chiamarlo Stupor Mundi, meraviglia del mondo. E Federico è abilissimo nel creare attorno alla sua persona un’aura mitica, dando vita e incarnando un modello estraneo alla tradizione occidentale, e vicino a quella orientale. Ama viaggiare in compagnia di un elefante, attorniato da dromedari e da altri animali esotici, oppure riceve ospiti e ambasciatori circondato da leoni e leopardi. Una sorta di abile regia scenografica tesa a stupire mostrando l’unicità della corte del sovrano. La sua curiosità intellettuale lo porta a farsi mecenate di dotti cristiani, ebrei, musulmani e a dialogare con essi nelle loro lingue.
Incoronato Re di Sicilia nel 1198 e dichiarato maggiorenne nel 1208, appena sul trono il giovane sovrano sogna come suo padre, l’impero mediterraneo dell’antica Roma ” le aquile vittoriose, i fasci e gli allori di trionfo”. Abile politico, fonda in Sicilia un’autorità incontestabile, sì che l’isola serva come base di partenza per realizzare il suo sogno. Sceglie Palermo come Capitale, si circonda di latini, musulmani ed ebrei.
Non gli manca nemmeno un Harem, popolato di bellezze orientali. Conduce una vita più da Califfo che da principe Cristiano. In quatto o cinque anni, spegne i focolai di ribellione, elimina ogni resistenza a forza di massacri o di deportazioni, ed impianta una monarchia centralizzata e ad economia dominata, impedendo il decollo di una borghesia nel Meridione.
Volge in suo favore i movimenti indipendentisti. Punisce severamente quanti si ribellano a lui e allo Stato, considerandoli rei di lesa maestà, e non risparmia nessuno. Quando ad esempio l’abazia di Montecassino appoggiò le forze ostili all’imperatore, fu da esso combattuta senza pietà; ma nello stesso tempo i monasteri, come quello di Cava dei Tirreni e di Montevergine, che mantennero buoni rapporti con Federico II, da lui ottennero molti privilegi. Anche il monastero greco di Otranto mantiene buoni rapporti con lo Svevo.
Ristabilito l’ordine nel Mezzogiorno e in Sicilia, Federico si volge alla Germania. Convinto che non può abbatterne la nobiltà, cerca di dividerla appoggiandosi alla Santa Sede, che l’aveva sostenuto nella lotta contro Ottone, e all’Ordine Teutonico allora nel pieno delle sue forze, e di cui il Gran Maestro Ermanno di Salza e docile agente. Salvo il breve incidente della rivolta del figlio Enrico, non ha grandi preoccupazioni delle sue terre germaniche.
Il figlio di Costanza sposa Isabella D’Inghilterra e questo gli permette di tenere a bada la Francia, giocando, nello stesso tempo, la carta di Raimondo IV di Tolosa per meglio disturbare il capetingio. Federico avanza verso l’onnipotenza. E quando nel 1237 la Lega Lombarda, ricostituita, gli manifesta una certa diffidenza, cavalieri svevi e cavalieri musulmani la sconfiggono a Cortenuova; s’impossessarono del Carroccio e lo portano in trionfo in Campidoglio. Intanto Federico, con abilità macchiavellica, per tenere in mano l’Italia presidia le città non con soldati tedeschi, ma con collaboratori locali, cioè ghibellini italiani.
Se all’inizio del governo federiciano, l’ambiente siculo, italico e germanico è inquieto, quello di Otranto non è da meno. Otranto spogliata dalla sua identità e autenticità dai Normanni, è insofferente, specialmente lo è il suo monastero greco di S.Nicola di Casole, “centro propulsore di letteratura italo-bizantina…, vivaio di grande importanza in tutto il Medioevo sia per la ricchezza della sua biblioteca, sia per i costanti rapporti culturali con l’Oriente bizantino”.
Otranto occupata dai biondi e prepotenti Normanni, è ridotta da città amica e fedelissima a Bisanzio a città nemica; perde le sue libertà comunali che aveva fin dalla Magna Grecia, e deve accettare il feudalesimo; aveva una civiltà universale, indoeuropea, e le viene imposta una cultura più riduttiva, filo occidentale; e deve accettare, rito, liturgia, lingua e strutture latine.
Dall’XI secolo in poi, l’ellenismo sacro di questa provincia fu combattuto dalla chiesa romana, e andò man mano scomparendo. I pontefici e i re di Napoli si posero d’accordo per estirpare quanto esisteva di romanico in questo lembo d’Italia, Gregorio I vi estese la gerarchia ecclesiastica latina: i conti di Lecce e di Nardò soppressero i calogerati basiliani dandoli ai benedettini. E a questi furono anche affidate le scuole.
Ostacolati in patria dai Normanni e dai Latini, i monaci greci di Casole sono spogliati anche sempre dai Latini dal metochion o residenza urbana che avevano a Costantinopoli; il Cardinale Benedetto di S.Susanna si impadronisce del metochion dell’Eurgentis e lo dona ai monaci latini, cioè ai Benedettini di Monte Cassino.
Federico II, principe dotto e amante della classicità si cala nella realtà otrantina e, con diplomazia, la volge a suo profitto. Simpatizza col mondo greco e concede Costanza, sua figlia come sposa all’imperatore greco Giovanni III.
Nessuna meraviglia, quindi, se in questo contesto storico i monaci di S.Nicola di Casole si sentono più vicini a Federico che ai latini, lo considerano come protettore come nuovo Aronne, unto dal Signore, e se il ghibellinismo, che appare così vivo nei versi, sopratutto di Giovanni Grasso e di Giorgio Cartofilace, risente della tradizione politica bizantini, imperniata sul concetto dell’Impero assoluto a cui Federico II si ispira.
L’importanza del fatto che Federico abbia passato la sua infanzia in Sicilia, non fu mai sottovalutata. Se il suo sangue romano-germanico sembrava predisporlo a una certa universalità di spirito, questa doveva essere favorita dalla realtà di Sicilia, dove a Palermo soltanto, convivevano e si fondavano, le civiltà dell’antico oriente e della chiesa.
Non solo lo spirito e l’atmosfera, ma anche le lingue, riti, i costumi, l’humanitas di quei mondi, fece propri Federico sin dalla fanciullezza. Il papa Innocenzo ebbe a scrivere dalla Sicilia: È la terra ereditaria di Federico, nobile e ricca fra gli altri regni del mondo, loro porto e ombelico; il che significava, a interpretarlo in senso quasi laico, che da essa sarebbe nato un nuovo mondo.