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Arabia Saudita, che fare?

| 21 Settembre 2019 | ESTERI

I bombardamenti che sabato scorso hanno colpito il cuore dell’industria petrolifera saudita hanno destabilizzato ulteriormente una regione da mesi imbottigliata in una grave crisi che non fa altro che aggravarsi.

Sebbene rivendicato dai ribelli sciiti yemeniti Houthi, Arabia Saudita e Stati Uniti attribuiscono gli attacchi aerei di sabato scorso all’Iran. Secondo le indagini condotte dalle autorità saudite e dall’intelligence americana i missili e i droni sono infatti arrivati da nord e non da sud-ovest. Inoltre gli armamenti impiegati andrebbero ben oltre le disponibilità tecnologiche dei miliziani di Ansar Allah. Teheran smentisce categoricamente il suo coinvolgimento ma Riad e Washington sono certi che dietro questo spregiudicato attacco vi sia la Repubblica Islamica.

La situazione nel golfo è caldissima. Già lo scorso giugno il presidente Donald Trump – dopo l’abbattimento di un drone americano da parte degli iraniani – rivelò di aver annullato la rappresaglia missilistica quando mancavano solo pochissimi minuti al lancio. Adesso la situazione è ancora più grave. Se c’è davvero l’Iran dietro l’attacco di sabato scorso si tratta a tutti gli effetti di un “atto di guerra” – come ha affermato il segretario di Stato americano Mike Pompeo – che potrebbe legittimare la rappresaglia saudita. In tal caso, per citare il ministro degli esteri iraniano Mohammad Zarif, il risultato probabilmente sarebbe “la guerra totale”.

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L’Arabia Saudita, che ha pubblicamente incolpato l’Iran, si trova a un bivio: rispondere occhio per occhio oppure no?

Lanciare una rappresaglia militare contro l’Iran, molto probabilmente, farebbe degenerare la situazione nel golfo con ripercussioni imprevedibili sui rapporti tra le potenze regionali e globali. Su un eventuale contrattacco saudita bisogna però fare qualche considerazione.

In primo luogo, difficilmente l’Arabia Saudita andrebbe in guerra senza gli Stati Uniti. I due alleati stanno cercando di adottare una postura diplomatica condivisa e a tal fine nei giorni scorsi Pompeo si è recato in Arabia. Gli Stati Uniti puntano a formare una coalizione mediorientale che funga da deterrente nei confronti di nuove spregiudicate azioni iraniane.

In secondo luogo, l’Arabia Saudita è un paese già in guerra. Da oltre quattro anni, nello Yemen, conflitto terribile che continua ancora ad essere ignorato dai mezzi d’informazione. Quella che doveva essere una breve e vittoriosa campagna militare si è rivelato un pantano che ha portato allo spreco di ingenti risorse finanziarie e soprattutto alla morte di migliaia di civili yemeniti, dilaniati dai bombardamenti indiscriminati dei sauditi. Ciò per dire che Riad ha già sulle spalle quattro anni di guerra e l’Iran, potenza regionale, sarebbe un nemico ben più letale ed impegnativo dei ribelli Houthi. Se non è in grado di sconfiggere i ribelli yemeniti come pensa l’Arabia Saudita di battere l’Iran? Ecco che l’aiuto americano si fa necessario in caso di guerra con Teheran.

In terzo luogo, l’attacco di sabato scorso ha messo a nudo le inefficienze dell’apparato militare saudita. Nonostante le ingenti spese militari, Riad non è stata in grado di intercettare i missili e i droni che hanno colpito il cuore pulsante dell’industria petrolifera, indiscussa fonte primaria della ricchezza nazionale. Uno smacco che di certo farà riflettere la classe dirigente saudita sulle reali capacità belliche del paese. Il regno sarebbe in grado di difendersi da un potente attacco missilistico iraniano?

A parole nessuno vuole lo scontro aperto. Sebbene abbia definito “atto di guerra” l’attacco di sabato 14 settembre, Pompeo si è anche detto aperto a una risoluzione pacifica della crisi. Nonostante la linea dura che ha sempre tenuto nei confronti dell’Iran, il presidente Trump non sembra disposto a far scoppiare una guerra, specialmente quando manca un anno alle elezioni.

Nel frattempo gli Stati Uniti hanno concesso i visti alla delegazione iraniana che la prossima settimana prenderà parte all’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il viaggio di Zarif a New York potrebbe essere una buona occasione per stemperare la tensione tra Teheran e Washington.

Per quanto riguarda i sauditi, che hanno palesato le loro carenze militari in termini offensivi (nello Yemen) e difensivi (lo scorso sabato) forse farebbero meglio a supportare le iniziative diplomatiche americane e a rendere più efficienti le loro capacità belliche in modo da rendere credibile la loro pretesa di ricoprire un ruolo da protagonisti nella regione.

TAG: Ansar Allah, Arabia Saudita, crisi, Donald Trump, golfo Persico, guerra civile yemenita, guerra dello Yemen, Hassan Rohani, Houthi, Iran, Medio Oriente, Mike Pompeo, Mohammad Zarif, Petrolio, Riad, stati uniti, Teheran, Yemen
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