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Un sabato di proteste in tutto il Regno Unito

| 1 Settembre 2019 | ESTERI

Da Londra a Edimburgo, passando per l’Inghilterra settentrionale e l’Irlanda del Nord. È stato un sabato di proteste in tutto il Regno Unito. Le manifestazioni, che si sono svolte in numerose città del Regno, hanno visto la partecipazione di almeno decine di migliaia di cittadini.

Il motivo alla base del malcontento è di facile intuizione per chi ha osservato anche solo distrattamente quanto accaduto nella politica britannica negli ultimi giorni. La decisione del primo ministro Boris Johnson di sospendere il parlamento per un mese – un’iniziativa costituzionalmente legittima ma insolita – ha generato aspre rimostranze. Nel giro di un paio di giorni sono state raccolte oltre un milione e mezzo di firme per chiedere l’annullamento della sospensione parlamentare e con l’arrivo del fine settimana migliaia di britannici sono scesi per le strade per manifestare il loro dissenso.

Il leader laburista Jeremy Corbyn, il presidente della Camera dei Comuni John Bercow, la primo ministro scozzese Nicola Sturgeon e altri esponenti di primo piano della politica britannica hanno condannato senza mezzi termini l’insolita decisione di Johnson. Le critiche mosse dai politici e dai cittadini hanno un minimo comun denominatore: la convinzione che sia stata inferita una pugnalata al normale funzionamento della democrazia rappresentativa britannica.

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I critici sostengono che la decisione di Johnson sia motivata dall’intenzione di impedire al parlamento di bloccare la Brexit senza accordo e di presentare mozioni di sfiducia nei confronti del governo. La sospensione dei lavori parlamentari si concluderà il 14 ottobre, quando mancheranno solo diciassette giorni alla Brexit.

Già insolita di per sé, la durata della sospensione ordinata dal primo ministro è fuori dal comune. Inizierà tra il 9 e il 12 settembre e durerà fino al 14 ottobre, oltre un mese. La decisione di Johnson innalza l’asticella della tensione di una crisi politica che da oltre tre anni sta paralizzando e dividendo il Regno Unito, ponendo un’ipoteca sulla sua futura integrità territoriale.

La lunga sospensione parlamentare entra di prepotenza nella cronaca di una crisi storica, a sua volta entrata nella storia del Regno Unito e dell’Unione Europea.

Già dal mattino migliaia di manifestanti si sono riversati nelle zone più centrali e affollate di Londra. Duemila manifestanti si sono ammassati di fronte ai cancelli di Downing Street e hanno urlato “Boris Johnson vergognati!” mentre altre persone si radunavano di fronte al parlamento. Le proteste hanno paralizzato il traffico a Whitehall, la lunga strada che collega Trafalgar square al palazzo di Westminster e su cui si affacciano diversi uffici governativi.

Manifestazioni si sono tenute anche a Manchester, York, Leeds, Liverpool, Birmingham, Belfast, Glasgow, Edimburgo e altre città ancora. “Stop the coup”, ovvero “stop al colpo di Stato”, è lo slogan che caratterizza queste proteste.

Corbyn, parlando durante una manifestazione nel centro di Glasgow, ha lanciato un appello a tutti i cittadini britannici affinché scendano in piazza per manifestare il loro dissenso nei confronti del governo. “Sono orgoglioso di essere qui con tutti voi, per dire a Boris Johnson che è il nostro parlamento […] Ci sono manifestazioni in corso ovunque perché la gente è arrabbiata e sdegnata per ciò che sta accadendo. Arrabbiata per il fatto che il governo e un primo ministro eletto da 93mila iscritti del partito conservatore stia tentando di tenere sotto sequestro i bisogni, gli obiettivi e le aspirazioni di 65 milioni di persone” ha proclamato il leader laburista.

Manifestazioni sono attese anche oggi in tutto il Regno.

TAG: Boris Johnson, Brexit, Brexit senza accordo, Downing Street, Jeremy Corbyn, John Bercow, Londra, manifestazioni, Nicola sturgeon, no deal Brexit, parlamento britannico, proteste, Westminster
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