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In Venezuela le cose peggiorano

| 20 Agosto 2019 | ESTERI

Le cose peggiorano. Sia a livello politico sia nella vita di ogni giorno, la popolazione risente gli effetti di poco più di vent’anni di revolución che sono bastati per portare il Paese indietro di circa un secolo. Una miscela di problemi irrisolti in ambito politico, economico e sociale ha innescato la peggiore crisi umanitaria dell’America Latina. Una crisi talmente ‘democratica’ che ti permette di scegliere tra la fuga o la permanenza. Chi rimane, a sua volta, può ancora scegliere in che modo morire. Tra le molteplici opzioni a disposizione, le più ricorrenti sono le malattie, gli omicidi e la fame.

Purtroppo, chi scrive sul Venezuela è sempre costretto a ripetere gli stessi mali di qualche anno fa ma aggiornando la loro l’intensità. Cosa s’intende con questo termine?

È semplice. Se oggi, come qualche anno fa, i malati muoiono abbandonati a sé stessi, bisogna precisare che oggi negli ospedali scarseggiano l’88% degli strumenti e dei farmaci di cui hanno bisogno per essere funzionali e all’elenco delle malattie che uccidono i pazienti bisogna aggiungere la malaria, ricomparsa con il peggiorare delle condizioni sanitarie del Paese.

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Se parlassimo invece di economia, non sarebbe più valido usare il concetto di inflazione, ma bisogna parlare in termini di iperinflazione. Le ricette economiche di Maduro l’hanno portata a circa 20.000.000%. I venezuelani, in pochi anni, hanno subito l’erosione del loro potere d’acquisto, dei loro stipendi e anche dei risparmi di una vita. Essendo tutto importato però, i prezzi sono aumentati e continuano ad aumentare restringendo la possibilità di acquistare i prodotti di prima necessità. In altre parole i prezzi sono calcolati a seconda del divario tra il dollaro e il bolívar. Tant’è che alcuni, per risparmiarsi i calcoli hanno deciso di fissare i prezzi dei prodotti direttamente in dollari americani.

Eppure la circolazione dei dollari è vietata dal governo stesso, ma è proprio la valuta americana l’unico mezzo di salvezza per le persone. Le persone preferiscono il dollaro perché più affidabile e, mentre le banconote inorganiche dei bolívar riempiono i cassonetti della spazzatura, gli acquisti e le vendite si fanno in dollari.

Ma in un’economia distrutta, come fanno la popolazione ad ottenere i soldi che gli servono per sopravvivere? All’interno è quasi impossibile. Se lavori lì guadagni soltanto 3 dollari al mese e, a meno che tu non faccia parte dell’élite o del circolo ristretto di Maduro i cui membri si sono arricchiti da un giorno all’altro, sei costretto a rimanere in attesa delle rimesse che qualche parente all’estero sia disposto ad inviarti. Sì, come accade in diverse realtà dell’Africa, a Caracas si campa di rimesse.

Per il resto, la criminalità organizzata si è sostituita allo Stato in diverse città: con circa 35.000 omicidi all’anno il Venezuela è tra i Paesi meno sicuri al mondo.

Date le difficoltà, in migliaia abbandonano il Paese alla ricerca di condizioni di vita “normali”. L’esodo, iniziato nel 2015, tende ad aumentare man mano che i progetti politici falliscono: una transizione che mai avviene e l’esito negativo sorto dai negoziati tra Maduro e l’opposizione sono alcuni dei fattori che sottopongono il Venezuela a uno stallo perenne che in pochi sono disposti a sopportare.

In effetti, i numeri parlano chiaro: i venezuelani in fuga sono più di 4.000.000, ma entro la fine dell’anno saranno in 5.000.000. A questo ritmo, entro il 2020 si arriverà facilmente agli 8.000.000 di emigranti su una popolazione di 30.000.000 di abitanti. Questo fenomeno può indicarci lo spezzarsi del tessuto sociale di una Nazione bloccata principalmente dalla mediocrità e dalla corruzione del regime di Maduro.

Alcuni, semplificando il tutto attribuiscono la responsabilità all’embargo applicato dall’amministrazione Trump sugli attivi del regime di Maduro negli USA ma in realtà queste misure sono specificamente rivolte ai funzionari dello Stato coinvolti in episodi di violazione dei Diritti umani e ad essere congelati sono i conti correnti che contengono i miliardi di dollari rubati ai venezuelani.

La ragione principale dell’embargo è stata l’intransigenza di un regime che continuava a imprigionare e uccidere dei dissidenti mentre sedeva ai tavoli dei negoziati di Oslo e Barbados. In molti segnalano come tali processi siano stati usati da Maduro per guadagnare del tempo e, in simultaneo, decimare l’opposizione. Un esempio di questa strategia lo si intravede nella decisione arbitraria di sciogliere il parlamento revocando l’immunità di più di 20 parlamentari. Insomma, Maduro non sembra è disposto a coesistere con l’opposizione.

Il regime è diventato indifendibile anche per alcuni dei suoi alleati principali: lo abbiamo notato con il ritiro degli attivi della Ziraat Bank di Turchia dalla Banca Centrale del Venezuela nonché con il respingimento da parte di PetroChina di un’imbarcazione di crudo proveniente da Caracas.

L’unico alleato di peso disposto a continuare dalla parte di Maduro come se nulla fosse è, come sempre, Putin. La tendenza a remare controcorrente ha spinto lo Zar a ufficializzare l’installazione di una base militare nel Venezuela.

In conclusione, le cose peggiorano (questa volta anche per Maduro) ma politicamente tutto resta quasi invariato. Il tempo sembra dare la ragione agli analisti che hanno sempre descrito la vicenda in poche parole “pasa de todo y no pasa nada a la vez”.

TAG: crisi, embargo, Maduro, Trump, Venezuela
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