I vincoli del regime venezuelano con il narcotraffico vanno oltre mera complicità con i cartelli che sfruttano il Paese come corridoio di lusso per il trasporto di oltre il 60% della cocaina che arriva in Europa attraverso variate modalità.
Sin dagli anni ’90, a Caracas iniziava a diffondersi con molta forza il nome de El Cartel de los Soles per identificare il sempre più vasto numero di membri della Pubblica Sicurezza coinvolti nel traffico di droghe. Successivamente, nel primo decennio del 2000 e con il consolidamento del regime di stampo militare, giungevano nuove segnalazioni, accuse ed evidenze sul coinvolgimento diretto di elementi al vertice dello Stato nel narcotraffico.
Il governo ha interrotto ogni tipo di collaborazione con la DEA, le cellule della guerriglia colombiana governano de facto alcune porzioni del territorio venezuelano, funzionari del regime subiscono processi e sanzioni in buona parte del mondo man mano che si scopre il loro coinvolgimento nel traffico di droga. Infine, una fetta consistente del regime di Maduro risulta coinvolta nel narcotraffico, trasformando il Paese un corridoio sicuro per i cartelli della Regione.
Per capire come il Venezuela sia arrivato fin qui, conviene ripercorrere il periodo che va dalla fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000. In essi nascono le prime trattative tra alcuni importanti esponenti del governo venezuelano, membri delle Forze Armate e la Guerriglia colombiana.
Il termine Cartel de los Soles viene coniato per la prima volta nel 1993 dai giuristi venezuelani Guillen Davila e Orlando Hernandez durante le indagini sul traffico di droghe e altri crimini eseguiti da membri delle Forze Armate. Le prime denunce arrivano negli anni ’90 e segnalano un coinvolgimento esterno dei militari, i quali al momento non avevano dei collegamenti diretti con i militari, non agivano con molta mobilità, né immagazzinavano la cocaina.
Lo spartiacque arriva nel 1999, primo anno dell’amministrazione Chavez, nel quale si registra un lieve aumento nei sequestri di persona nei confronti degli stranieri e degli imprenditori in generale. La stagione dei rapimenti si sarebbe prolungata per il primo decennio degli anni 2000 sotto l’omertà di uno Stato indifferente dinanzi a tali episodi e la censura dei media costretti a chiudere un occhio dinanzi a tali episodi che raggiunsero i loro climax nel 2006 con l’uccisione di Rosina Di Brino (22 anni) e Filippo Sindoni (73 anni) nei mesi di febbraio e marzo rispettivamente.
In seguito, nel mese di aprile, dopo 38 giorni di sequestro, furono uccisi i fratelli Bryan (12 anni), Kevin (14 anni) e Jason Faddoul (17 anni). Anche il cardinale Urosa cercò di mediare per la liberazione di questi ultimi, ma fu tutto inutile. I fratelli sono stati torturati, uccisi e abbandonati in un bosco della località di Yare. I dati indicano che, fino al 2011, sotto lo sguardo indifferente dello Stato, si perpetravano in media 1.162 rapimenti annui: quasi tutti caratterizzati dall’impunità, l’inibizione e la complicità dei corpi di polizia.
La parentesi dei sequestri ci torna utile per due aspetti: il primo, per capire il livello raggiunto dalla criminalità organizzata sin dai primi anni 2000 e, il secondo, perché questi casi sono una premessa che ci riporta al 1999, unica occasione in cui lo Stato decise di intervenire per la liberazione di qualcuno. In quell’occasione, a pochi giorni dall’elezione di Chavez, è stato sequestrato uno dei principali finanziatori della sua campagna elettorale: Nagen Abraham. L’imprenditore era stato intercettato a Caracas da un commando che, dopo averlo trasportato in un convoglio della polizia l’hanno venduto al gruppo paramilitare colombiano ELN.
In quell’occasione, Chavez decide di inviare Rodriguez Chacin, allora capitano della navigazione presso le Forze Armate, a negoziare i termini della liberazione con l’ELN. Paradossalmente, Chacin era stato un elemento chiave nella lotta alla sovversione di estrema sinistra proveniente dalla Colombia. Faceva parte del gruppo Jose Antonio Paez (CEJAP) che eseguiva delle operazioni militari di frontiera.
Il gruppo si sciolse dopo un incidente che lo vide autore dell’eccidio di Amparo nel quale sono stati uccisi 14 pescatori. Il caso fu portato alla Corte Interamericana per i Diritti Umani dopodiché Chacin, per salvarsi la pelle, s’infila nel movimento di sovversione fondato da Chavez e partecipa nel tentato golpe del 4 febbraio 1992. Per quanto riguarda invece l’ELN, fino al 1999, l’organizzazione perpetrava circa 50 rapimenti all’anno grazie alle alleanze con la criminalità locale.
Rodriguez Chacin supera il confine con la Colombia per trattare con l’ELN i termini della liberazione, ma nel colloquio con le ELN si trova davanti qualcosa di molto più complesso. Infatti, i guerriglieri hanno confessato a Chacin il loro vero affare, la cocaina:
“I riscatti dei sequestri sono briciole, l’affare è la cocaina. Attraverso di essa potremmo recare gravi danni alla decadente società americana(…)e inoltre generare sufficienti risorse per finanziare la nostra lotta di liberazione. Anche lei riceverebbe la sua parte in cambio della cortesia”
Giunti a questo punto del racconto e, dopo aver evidenziato il giro di 360° nell’azione strategica di un capitano della navigazione che in poco tempo è passato da nemico pubblico dei guerriglieri a faccendiere tra lo Stato e l’ELN, viene naturale chiedersi: qual’è stata la risposta di Rodriguez Chacin alla proposta dei guerriglieri? Quale messaggio ha trasmesso al suo ritorno?… E Chavez, ne sapeva qualcosa? Cosa ne pensava il Presidente del Narcotraffico e della guerriglia colombiana?