
Tra pochi giorni si conoscerà il nome del successore di Theresa May. I candidati in lizza sono due: Jeremy Hunt, attuale ministro degli esteri del governo britannico, e Boris Johnson, ex ministro degli esteri e sindaco di Londra dal 2008 al 2016.
Nelle ultime settimane la questione Brexit è passata in secondo piano per lasciare spazio alla campagna elettorale interna al partito conservatore che ha visto circa una decina di candidati contendersi l’ambito trofeo rappresentato dalla leadership del partito. La sfida si è ridotta a un duello che probabilmente vedrà la vittoria di Boris Johnson.
Che l’eccentrico Boris sia mosso da una veemente ambizione di giungere al numero 10 di Downing Street non è affatto una novità. È noto da almeno un anno – da quando si dimise dall’incarico di ministro degli esteri nel luglio 2018 – che Johnson desideri diventare leader del partito conservatore e quindi nuovo primo ministro britannico.
Ma la smania di Boris potrebbe presto rivelarsi un boomerang in grado di azzoppare gravemente la sua carriera politica. Il nuovo capo dell’esecutivo britannico – a prescindere da chi sarà – dovrà infatti svolgere un compito difficile a dir poco: riuscire laddove May ha fallito, cioè portare a compimento la Brexit, un mostro che ha generato la peggiore crisi politica in Gran Bretagna dai tempi della Seconda guerra mondiale e che sta mettendo in discussione la pace e l’integrità territoriale del plurisecolare Regno Unito.
La vera domanda quindi è la seguente: riuscirà il nuovo primo ministro britannico (ammettiamo che sia Johson) a fare in tre mesi ciò che May non è riuscita a fare in oltre due anni?
Theresa May, prima donna a ricoprire l’incarico di primo ministro dopo Margaret Thatcher, passerà alla storia come colei che fallì nel tentativo di far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea. Theresa May è stata politicamente uccisa dal mostro Brexit. Ma che ne sarà del suo successore?
Originariamente prevista per il 29 marzo 2019, l’uscita di Londra dall’Unione Europea è stata posticipata al 31 ottobre di quest’anno, giorno di Halloween, a causa dell’incapacità da parte dell’esecutivo britannico di far approvare dal parlamento l’accordo di uscita negoziato con l’Ue. I negoziati ebbero inizio nella primavera 2017, quando venne attivato il famigerato articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (Tue). Dopo mesi e mesi di estenuanti trattative, nell’autunno dello scorso anno Londra e Bruxelles giunsero a un accordo che in realtà lasciava in sospeso buona parte delle questioni cruciali riguardanti la Brexit, compresa la controversa e complessa questione del confine irlandese.
Nei primi mesi di quest’anno May ha tentato per tre volte di far approvare il suo piano di uscita. Per tre volte ci ha provato e per tre volte la Camera dei Comuni l’ha respinto con ampi margini. Dopodiché il suo stesso partito l’ha costretta ad annunciare le dimissioni per dare avvio alla corsa alla successione.
Il nome del nuovo primo ministro britannico dovrebbe essere reso noto il 23 luglio. Tre mesi e otto giorni separano quella data dal 31 ottobre, giorno di scadenza della Brexit. “Un nuovo rinvio della Brexit significa sconfitta” ammise Johnson lo scorso mese quando diede inizio ufficialmente alla sua corsa verso Downing Street. Allo stesso tempo il politico britannico si disse pronto a fare tutto per evitare una disastrosa Brexit senza uscita.
Come potrà Johnson, in tre mesi e otto giorni, avere successo laddove May, dopo oltre due anni di coriacei tentativi, ha fallito? Ipotizziamo che a ridosso del 31 ottobre Johson chieda un nuovo rinvio della Brexit per evitare il no deal. Come potrà non perdere la faccia? E come potrà riabilitare la sua credibilità politica? Quella dichiarazione fatta in giugno potrebbe costare caro al probabile nuovo primo ministro britannico.