Mentre la Sea Watch 3 è ancora a largo di Lampedusa, attendendo la possibilità di sbarcare in uno dei porti sicuri europei, alcuni immigrati riescono a raggiungere le nostre coste, altre vengono riportati in Libia luogo dal quale fuggivano sia perché non è un porto sicuro, ma anche per la situazione del paese che continua ad essere tragica. Sul luogo sono presenti gli operatori Onu che assistono inermi a ciò che avviene.
Il 21 giugno circa 100 migranti sono riusciti a sbarcare a Lampedusa con uno stratagemma che ha dato lì per lì la sensazione di poter aggirare le nuove leggi. 81 di queste persone sono sbarcate a bordo di un gommone, dopo che il peschereccio sul quale erano a bordo li aveva lasciati su un gommone a largo di Lampedusa.
Intanto, la “nave madre” ha tentato il rientro verso le coste del Nord Africa, ma è stata intercettata e fermata. Successivamente si sono registrati altri 2 sbarchi di 12 e 7 persone non ancora riconducibili alla stessa imbarcazione.
Il fatto è stato documentato a circa 60 miglia a sud dell’isola di Lampedusa dall’aereo facente parte del progetto Mas dell’Agenzia Frontex. Quando la piccola imbarcazione è entrata in acque italiane è intervenuta la Guardia di Finanza della Capitaneria di Porto.
La procura di Agrigento ha sottoposto a fermo 9 presunti trafficanti di essere umani e ha sequestrato l’imbarcazione libica. I presunti criminali hanno circa 16 anni e sono di nazionalità libica ed egiziana, si attende l’identificazione e l’interrogatorio.
Purtroppo il caos regna sovrano e nell’attesa di una decisione la Sea Watch 3 attende il suo destino, un uomo dei 43 immigrati è stato portato in salvo dalla Guardia Costiera a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.
La ONG rende noti questi dettagli e ribadisce che “I naufraghi sono a bordo da 10 giorni. Il rispetto dell’interdizione all’ingresso determina un penoso stillicidio mentre non abbiamo indicazioni alternative”.
La popolazione dell’isola di Lampedusa ieri ha accolto altri 45 immigrati arrivati su una piccola imbarcazione, il generale Vincenzo Santo ripropone il reato di clandestinità del 2009, governo Berlusconi. Questo pluridecorato soldato italiano propone i campi di detenzione per i clandestini adducendo che in altri stati come gli USA e l’Australia ciò viene fatto in attesa che venga dato al clandestino lo status di rifugiato o del provvedimento di espulsione.
Nel 2016 l’ex presidente della Cassazione Giovanni Canzio nella sua relazione all’anno giudiziario nel 2016 definì la clandestinità un reato “inutile e dannoso”. Ad oggi la Cassazione ha stabilito che la non punibilità per tenuità del fatto è possibile quando si realizzano tre condizioni chiave ossia l’esiguità del danno o del pericolo, l’occasionalità della condotta e il modesto grado di colpevolezza. Nel caso dei migranti irregolari ad oggi la condotta non è “per nulla occasionale”.
Ad ogni modo il reato di ingresso e soggiorno illegale all’interno dello stato prevede un’ammenda e non la limitazione della libertà personale. Diverso è il discorso di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, di cui fu accusato Domenico Lucano, il sindaco di Riace, poi scagionato; era stato accusato di aver perpetrato il reato come chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15mila euro per ogni persona”; da tutto ciò esula l’attività di soccorso e assistenza umanitaria.
Intanto vi è stata l’archiviazione dell’accusa contro Salvini del sequestro di persona da parte del Tribunale di Catania, il che sembra dargli forza nella politica già tanto contestata a livello europeo dei presunti “porti chiusi”.
Se nel nostro agire c’è del marcio di fondo, non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e scaricare colpe e responsabilità su chi cerca solo la possibilità di vivere. Siamo noi che vendiamo le armi, siamo noi che addestriamo i loro militari, siamo noi che dove c’è il nostro prezioso petrolio, bauxite o silicio non interveniamo nascondendoci dietro l’impossibilità di intervenire in confini extra statali in virtù della sovranità territoriale.
Siamo noi che abbiamo distrutto popoli e territori per i nostri interessi nascondendoci dietro spedizioni umanitarie e non intervenendo lì dove c’era veramente bisogno, perché l’interesse economico e politico era poco rilevante. Siamo noi, Europa, che puntiamo il dito contro l’incapacità italiana di gestire gli arrivi e le partenze, ma non interveniamo come una reale e concreta unione di stati farebbe. Non siamo alla ricerca di soluzioni concrete, ma di capri espiatori da impiccare nell’immediato per tranquillizzare gli animi della fittizia Unione Europea.