
Nonostante il calo dell’attenzione mediatica, i combattimenti in Libia non sono cessati. I soldati del feldmaresciallo Khalifa Haftar pressano ancora alla periferia di Tripoli dove le milizie fedeli al Governo di accordo nazionale (Gna) resistono.
Dall’ultimo bilancio delle vittime redatto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) emerge una situazione particolarmente drammatica: i morti sono 562, di cui 40 civili, e i feriti 2 855, di cui 106 civili. Tra i morti caduti la scorsa settimana vi sono anche due operatori sanitari addetti a guidare le ambulanze.
L’unico dato positivo di questo bilancio è il (relativamente) basso numero di vittime civili. In compenso il numero degli sfollati è molto alto. Secondo le ultime stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) i combattimenti hanno finora causato 82 300 rifugiati. Dato l’alto numero di rifugiati, e considerando che al momento non si intravedono spazi per una soluzione politica dell’escalation militare, vi è la possibilità che decine di migliaia di profughi si dirigano in Tunisia per fuggire dalla guerra. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) avrebbe già pronto un piano di emergenza per accogliere fino a 25 mila rifugiati in Tunisia.
La situazione in Libia è degenerata lo scorso mese. Dopo anni di sforzi diplomatici che hanno coinvolto attori libici e internazionali, finalizzati a riunificare il paese e mettere fine alla guerra civile latente scoppiata con la caduta di Muammar Gheddafi nell’ottobre 2011, il feldmaresciallo Khalifa Haftar, il cosiddetto uomo forte della Cirenaica, regione della Libia orientale al confine con l’Egitto, lo scorso 4 aprile ha annunciato l’offensiva militare per conquistare Tripoli. Ufficialmente per liberare il paese dai “terroristi”. Ufficiosamente per spodestare il Governo di accordo Nazionale (Gna) del primo ministro Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite e da diversi paesi importanti in Libia, tra cui l’Italia, e stabilire il controllo sulla Tripolitania. L’offensiva militare di Haftar ha quindi mandato all’aria anni di diplomazia. Tuttavia, le sue truppe hanno incontrato la strenua resistenza dei miliziani fedeli al Gna, che ne hanno bloccato l’avanzata alla periferia di Tripoli.
Venerdì scorso un incendio è divampato nella clinica aziendale della National Oil Company (Noc), la compagnia petrolifera libica, nel quartiere di Gharghour a Tripoli. Tecnici dell’azienda hanno accertato che l’incendio è scoppiato in seguito a un bombardamento. Fortunatamente non si sono registrati feriti. I vertici della Noc hanno commentato duramente l’accaduto definendolo una violazione della legge internazionale umanitaria. Non è ben chiaro quale fazione abbia eseguito il bombardamento anche se sembra probabile che sia stata quella di Haftar, che già nelle scorse settimane ha bombardato strutture sanitarie e civili.
Infatti, secondo The Libya Observer, lunedì l’artiglieria dell’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar ha bombardato il quartiere Salah Eddin, alla periferia meridionale di Tripoli. Inoltre, l’aviazione del feldmaresciallo della Cirenaica avrebbe bombardato anche l’ospedale Ibn Nafis, sempre nel quartiere Salah Eddin, senza causare vittime per fortuna.
Al momento non sembrano esservi speranze per una soluzione politica della situazione. Haftar ha rifiutato categoricamente gli inviti a cessare le ostilità giunti da più parti. Nonostante la resistenza incontrata dalle sue truppe, Haftar è intenzionato a continuare a combattere per cacciare il Gna da Tripoli e riunificare il paese .
In più, in un’intervista concessa al settimanale francese Journal du Dimanche, il feldmaresciallo ha pure delegittimato il ruolo di mediazione delle Nazioni Unite definendo Ghassan Salamè, l’inviato speciale per la Libia, un mediatore fazioso.
Insomma, al momento non vi sono elementi che possano far sperare in una conclusione immediata delle ostilità in Libia, paese che da quasi un decennio è in balia dell’anarchia e della lotta tra fazioni locali, dietro cui si celano gli intrighi della politica internazionale.