Mancano pochi giorni alle elezioni europee più discusse di sempre. L’appuntamento elettorale di domenica 26 maggio, che secondo molti tra studiosi, giornalisti e politici sarà cruciale per il futuro dell’integrazione europea, vedrà verosimilmente l’ascesa dei partiti sovranisti emersi negli ultimi anni in numerosi paesi del Vecchio Continente, andando così a destabilizzare i fragili equilibri politici europei. Con tutto ciò che ne consegue per quanto riguarda la formazione di una maggioranza parlamentare in seno all’emiciclo di Strasburgo.
Tale ascesa sovranista, se ci sarà davvero, sarà guidata dalla Lega di Matteo Salvini, capofila dei partiti sovranisti europei, che secondo i sondaggi, oltre ad essere il primo partito italiano, sarà anche uno dei partiti più votati a livello europeo.
Insomma, dal voto di domenica scaturiranno importanti novità, sia a livello europeo che nazionale. Eppure, nonostante la tanto chiacchierata importanza delle imminenti elezioni, sorprende, almeno fino a un certo punto, constatare che, almeno per quanto riguarda l’Italia, la campagna elettorale è stata incentrata su temi prettamente nazionali.
Le ultime settimane hanno visto un innalzamento della tensione all’interno della maggioranza, con il Movimento 5 Stelle e la Lega che hanno cercato di focalizzare il dibattito sui propri cavalli di battaglia in modo da distinguersi dall’alleato/avversario e allo stesso tempo, perché no, anche attaccarlo, in modo da rosicchiarsi voti a vicenda e sperare di risalire nei sondaggi nel caso dei pentastellati.
E così per venti giorni si è discusso dell’affare Siri, con Di Maio che ha colto l’occasione per far sventolare in alto la bandiera dell’onestà e della legalità mentre Salvini ha subito cercato si sviare l’attenzione parlando di marijuana legale ed immigrazione.
Il risultato di questa lotta intestina alla maggioranza è l’inazione del governo, paralizzato dalla tensione e dalla mancanza di fiducia reciproca generate dallo scontro faccia a faccia tra M5S e Lega.
Come in ogni campagna elettorale si è anche parlato di tasse. Di Maio e Salvini si sono spesi in lungo e in largo per promettere un abbassamento e che l’Iva l’anno prossimo non aumenterà, nonostante quello che è stato più volte detto dal ministro dell’economia Giovanni Tria.
Il punto è che in questa campagna elettorale i temi nazionali hanno avuto di gran lunga la precedenza su quelli europei mentre teoricamente sarebbe dovuto avvenire il contrario.
A pochi giorni dalle elezioni del 26 maggio si può quindi affermare con fondamento che la grande assente di questa campagna elettorale è stata…l’Europa!
Certo, di temi europei si parla nei programmi elettorali dei partiti e se n’è parlato in parte nei comizi, ma solo una piccola parte dell’elettorato legge i programmi o partecipa a manifestazioni.
Senza aver letto i programmi elettorali è difficile farsi un’idea sulla posizione assunta da ciascun partito in merito alle questioni europee poiché la campagna elettorale, come anche il dibattito pubblico veicolato dai media, è stata incentrata su questioni nazionali o di cronaca politica domestica, come nel caso Siri.
Chi è europeista, nel senso che ha un’opinione favorevole dell’Unione Europea e magari auspica la ripresa del processo d’integrazione, voterà un partito che si fa portatore di tali valori mentre chi ha un’opinione negativa dell’Ue darà la sua preferenza a un partito sovranista e ostile all’integrazione europea.
Ciò per dire che il voto di domenica scaturisce banalmente da una scelta di campo fatta da ciascun individuo in base alle proprie opinioni personali in merito all’Ue e al processo d’integrazione, e non in base alle proprie opinioni sulle proposte fatte dagli esponenti politici nell’ambito di un confronto tra i vari partiti. Semplicemente perché questo confronto non c’è stato.
Ciò rattrista innanzitutto perché l’Unione, con tutte le istituzioni ad essa collegate, è un soggetto cruciale della vita del nostro paese, nel bene e nel male, che coinvolge cittadini, istituzioni ed imprese. Il mercato comune, l’unione doganale, la moneta unica, i fondi europei per lo sviluppo, lo stretto legame politico e commerciale con gli Stati membri, l’assenza di una politica migratoria comune che tuteli i paesi di sbarco sono solo alcuni degli aspetti che dimostrano quanto l’Ue impatti sulla vita quotidiana di ciascun di noi e su quella delle istituzioni della nostra Repubblica.
Pertanto, e per numerosi altri motivi, le questioni europee meriterebbero un ampio dibattito tra tutte le forze politiche. Se questo dibattito manca anche in occasione della campagna elettorale per le europee, visto il predominio delle questioni domestiche, quando si parlerà di Europa?
Oltretutto, le caratteristiche dell’attuale fase storica rendono ancora più necessario un dibattito costruttivo sulle tematiche europee. Questo decennio ha visto numerose crisi che hanno indebolito la fiducia e il consenso dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni comunitarie. A partire dalla crisi economica, passando per quella del debito greco per giungere a quella migratoria, mentre la Brexit ha messo in discussione l’integrità stessa dell’Unione e in ogni caso rappresenta uno smacco per il processo d’integrazione europea.
Tutto ciò s’inserisce in un contesto internazionale che da un lato vede un presidente americano critico nei confronti degli alleati europei, e dall’altro una Russia molto attiva nel fomentare quelle correnti politiche che vogliono invertire la rotta dell’integrazione europea o come minimo mantenere lo status quo.
Ecco, come è stato appena dimostrato, mai come ora parlare di Europa dovrebbe essere una priorità. Eppure, con delusione, bisogna constatare che almeno per quanto riguarda l’Italia le questioni nazionali hanno avuto un ruolo da protagonista in questa campagna elettorale, mentre quelle europee hanno fatto solo un breve cameo.