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Venezuela: Guaidó invoca la rivolta militare contro Maduro, scontri a Caracas

| 1 Maggio 2019 | ESTERI

Ieri è stata una giornata molto calda in Venezuela. Il presidente dell’Assemblea Nazionale e autoproclamato presidente Juan Guaidó ha fatto appello alla nazione venezuelana, e in particolare ai militari, chiedendo di rivoltarsi contro il dittatore Nicolas Maduro per mettere fine una volta per tutte al suo regime oppressivo.

Nel corso della giornata di ieri ci sono stati scontri violenti nella capitale Caracas tra manifestanti pro Guaidó e forze di sicurezza fedeli al governo chavista. I feriti si contano a decine e un autoblindo dell’esercito, ripreso dalle telecamere, è passato sopra una folla di manifestanti.

La tensione politica ha iniziato a salire vertiginosamente già di prima mattina. All’alba, Guaidó – riconosciuto presidente ad interim da decine di paesi, non dall’Italia – in un breve video di tre minuti ha lanciato l’Operazione Libertà, la rivolta popolare, guidata dalle forze armate, che dovrà mettere fine al regime di Maduro dando avvio a una transizione democratica. L’autoproclamato presidente ha fatto riferimento esplicito alle forze armate, chiedendo loro di scendere nelle strade e mettersi a fianco dei manifestanti.

“La fine dell’usurpazione è iniziata oggi (ieri, nda)” ha annunciato un Guaidó determinato. “Contiamo sul popolo venezuelano. Oggi le forze armate sono chiaramente dalla parte del popolo e della Costituzione” continua il leader dell’opposizione, che mentre pronunciava queste parole era circondato da un gruppo di militari passati dalla sua parte. “Vi chiedo – prosegue Guaidó riferendosi sia ai militari che alla popolazione – di accompagnarci in questo processo per porre fine definitivamente all’usurpazione” del regime chavista e assicurare un futuro di libertà  e democrazia al Venezuela.

Guaidó ha fatto il suo video annuncio dalla base dell’aeronautica militare di La Carlota, alla periferia di Caracas. Oltre a numerosi militari, tra gli uomini in quel momento vicini all’autoproclamato presidente vi era anche Leopoldo Lopez, leader del partito di opposizione Voluntad Popolar, di cui fa parte anche Guaidó. Lopez, arrestato più volte, era agli arresti domiciliari dal 2017 ma ieri è stato liberato da un gruppo di militari fedeli a Guaidó. Ora che è tornato in libertà, Lopez potrà dare il suo contributo per attuare il piano del giovane autoproclamato presidente. Attuazione che difficilmente potrà avvenire senza spargimenti di sangue.

In seguito all’annuncio di Guaidó, migliaia di persone sono scese in strada e si sono dirette verso la base militare di La Carlota. Nel frattempo, il governo chavista ha mandato sul posto militari, paramilitari e forze di polizia. Sono quindi scoppiati degli scontri che hanno causato decine di feriti. Colpi di arma da fuoco sono stati uditi mentre un autoblindo governativo è passato sopra una folla di manifestanti.

Il governo, pur riconoscendo che è in atto un tentativo di colpo di Stato, ha affermato che la situazione è sotto controllo e la fedeltà delle forze armate non è in discussione, nonostante le defezioni di alcuni militari accusati di tradimento. A sua volta, il presidente Maduro ha chiesto la “massima mobilitazione popolare per assicurare la vittoria della pace” e ha affermato di aver parlato con tutti i comandanti regionali delle forze armate, i quali gli avrebbero confermato la fedeltà.

Nell’arena internazionale, gli Stati Uniti non hanno perso tempo per rinnovare il loro appoggio a Guaidó.

“A Juan Guaidó, all’Assemblea Nazionale e a tutte le persone venezuelane amanti della libertà che oggi stanno scendendo in strada per partecipare all’Operazione Libertà: siamo con voi! L’America starà dalla vostra parte finché democrazia e libertà non saranno ripristinate” ha scritto su Twitter il vicepresidente americano Mike Pence. Dello stesso avviso è il segretario di Stato Mike Pompeo. “Il governo degli Stati Uniti appoggia in pieno il popolo venezuelano e la sua ricerca di libertà e democrazia. La democrazia non può essere sconfitta” scrive Pompeo sempre su Twitter.

L’Unione Europea è invece più cauta.  “Visto che le informazioni sugli sviluppi in Venezuela stanno arrivando in questo momento, seguiamo l’evoluzione sul terreno, e preferiamo non commentare. Ribadiamo però la nostra posizione sulla necessità di trovare una soluzione pacifica e politica alla crisi in Venezuela, attraverso elezioni eque” ha dichiarato un portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna.

Nel frattempo, vista l’escalation della tensione e gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza, il Regno Unito ha deciso di chiudere la sua ambasciata a Caracas.

L’appello di Guaidó è l’avvenimento più drammatico da quando il giovane presidente dell’Assemblea Nazionale si è autoproclamato capo di Stato, e quindi anche capo delle forze armate, lo scorso gennaio. È il più drammatico perché potrebbe avere conseguenze esplosive sulla (in)stabilità del Venezuela.

L’appello esplicito alle forze armate riaccende la tensione, per la verità mai sopita, nel paese latinoamericano. È ancora troppo presto per dire se la mossa di Guaidó avrà successo. La liberazione di Lopez, leader del partito di Guaidó, rafforza l’opposizione ma la palla è nel campo dei militari.

Indubbiamente, un’eventuale rivolta militare con successiva destituzione di Maduro non avverrà in modo pacifico. Quest’ultimo, come ogni dittatore che trae legittimità da un’ideologia, a prescindere dal colore politico, si è creato un nucleo di militari e paramilitari fedelissimi disposti a morire per lui. Maduro non se ne andrà con le buone.

Insomma, è inutile girarci attorno: mai come ora il Venezuela è a rischio guerra civile.

TAG: caracas, chavismo, crisi venezuelana, forze armate, Juan Guaido, Leopoldo Lopez, manifestanti, Mike Pence, Mike Pompeo, Nicolas Maduro, Operazione Libertà, paramilitari, scontri, segretario di stato, stati uniti, Unione Europea, Venezuela
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