Colpo di scena nella storia infinita della Brexit: la premier britannica Theresa May ha annunciato che si dimetterà se la Camera dei Comuni approverà il suo accordo di uscita dall’Unione Europea.
Tale accordo, frutto di estenuanti mesi di trattative tra Londra e Bruxelles, è stato sonoramente bocciato dal parlamento britannico già due volte: la prima volta in gennaio, 432 a 202, la seconda volta lo scorso 12 marzo, 391 a 242.
La terza votazione è necessaria per sapere, una volta per tutte possibilmente, quando il Regno Unito lascerà l’Ue. In base a quanto stabilito dal Consiglio Europeo della scorsa settimana, se l’accordo verrà approvato Londra abbandonerà l’Unione il 22 maggio, il giorno prima delle elezioni europee. Se invece verrà bocciato, entro il 12 aprile il governo britannico dovrà decidere se uscire senza un accordo (il temuto scenario del no deal) oppure se partecipare alle elezioni europee.
May ha messo sul piatto la sua carriera politica nel disperato tentativo di portare a casa l’approvazione del suo accordo. Nelle scorse settimane la premier aveva già fatto sapere che non si sarebbe ricandidata alla guida del partito alle prossime elezioni. Una concessione insufficiente per gli hard brexiteers del partito conservatore che non la vogliono per nessun motivo alla guida del governo durante la prossima fase delle negoziazioni.
Già, perché la questione Brexit non si esaurirà quando Londra sarà fuori dall’Ue. Regno Unito ed Unione Europea dovranno definire precisamente come vorranno impostare la loro relazione futura, cosa che per il momento è stata fatta attraverso una Dichiarazione Politica molto vaga, oltre a dover stipulare diversi trattati bilaterali.
Inoltre, l’accordo di uscita negoziato da May lascia in sospeso alcuni aspetti cruciali. Per esempio, il backstop, pomo della discordia delle trattative sulla Brexit dentro e fuori la Gran Bretagna, altro non è che una “clausola assicurativa” che vuole impedire il caos e la creazione di un confine fisico tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda nel momento in cui il Regno Unito uscirà dall’Ue. Insomma, si tratta di un tampone momentaneo, nell’attesa che Londra e Bruxelles – appunto – stipulino un accordo definitivo in futuro.
May ha annunciato la sua decisione durante una riunione con il gruppo parlamentare conservatore alla Camera dei Comuni.“Ho udito con chiarezza l’umore del partito. So che c’è il desiderio di un nuovo approccio e di una nuova leadership nella seconda fase della Brexit. Sono pronta a lasciare questo incarico prima di quando intendessi, per il bene della nazione e del partito” ha dichiarato la premier. Ora sembra che persino l’ex ministro degli esteri Boris Johnson, hard brexiteer molto influente che ambisce a Downing Street, sia intenzionato ad appoggiare l’accordo di uscita.
Il problema è che non è affatto detto che anche dopo questa concessione la Camera dei Comuni approvi l’accordo. In ogni caso, per Theresa May sarà molto difficile incassare l’approvazione.
Se anche tutti i deputati conservatori votassero a favore ciò non sarebbe sufficiente a far passare l’accordo, poiché i conservatori sono in minoranza (314 seggi su 650). A partire dalle elezioni legislative del giugno 2017, i conservatori hanno guidato un governo di minoranza che si è appoggiato sui dieci deputati del Partito Unionista Irlandese (Dup) per approvare i propri provvedimenti. La risicata maggioranza dei tories si è assottigliata ulteriormente nelle ultime settimane quando alcuni deputati hanno abbandonato il partito per unirsi al nuovo Independent Group.
Per farla breve, gli unionisti irlandesi, fondamentali per la tenuta dell’esecutivo May, hanno fatto sapere che continueranno ad essere contrari all’accordo di uscita nonostante l’annuncio della premier di dimettersi in caso di approvazione. Arlene Foster, leader del Dup, ha dichiarato in un’intervista a Sky News che “non possiamo appoggiare qualcosa che danneggia il Regno Unito”.
Gli unionisti irlandesi si sono sempre opposti al backstop così come è stato negoziato dalla premier perché, a detta loro, mina l’integrità territoriale del Regno Unito. Secondo quanto previsto dall’accordo sul backstop, l’Irlanda del Nord rimarrà più integrata nel mercato unico europeo rispetto al resto del Regno Unito. Per via della loro ostilità al backstop, i dieci deputati del Dup hanno votato in entrambe le occasioni contro l’accordo di uscita, contribuendo alla disfatta del governo.
Inoltre, il deputato Jacob Rees-Mogg, un altro hard brexiteer molto influente nel partito conservatore, ha dichiarato che voterà a favore dell’accordo solo se il Dup si asterrà. Se il Dup voterà contro, come le dichiarazioni di Foster e le precedenti votazioni lasciano intendere, anche Rees-Mogg voterà contro.
Insomma, come sempre la Brexit si dimostra essere una questione parecchio intricata e dai risvolti imprevedibili.
Theresa May ha giocato il tutto per tutto, ovvero la sua testa per la sua Brexit, ma ciò potrebbe comunque non bastare.