L’operazione Zingaretti è servita. Il voto delle primarie per l’elezione del nuovo segretario Pd ha rappresentato il mero corollario mediatico di un’operazione di sintesi che disgregherà gli attuali assetti politici puntando con chiarezza a un duplice obbiettivo: il ritorno del bipolarismo e la demolizione politica del Movimento 5 Stelle.
Un’operazione che viene da lontano, che miscela cinismo, straordinaria vocazione al camouflage e una spregiudicatezza politica che il neo segretario Pd incarna alla perfezione, dietro il mellifluo sorriso e la potente struttura di comunicazione che rappresentano i suoi principali punti di forza.
I risultati sono ben visibili e tutt’altro che allo stato embrionale. Le parole di Zingaretti, in questo senso, sono esaustive quanto alla direzione politica che intende imprimere dal nuovo corso del Nazareno: “Serve – ha dichiarato nel preambolo di una sorta di manifesto – una lista forte, unitaria e aperta: dobbiamo aprirci e allargarci, aggregare forze culturali, economiche e sociali per dare un’idea che c’è un’Europa da rifondare”. Il simbolo del Pd, particolare non di secondo piano, è stato definito dallo stesso Zingaretti “non un dogma”, semmai un volano per dare corpo a un listone “con il protagonismo degli intellettuali del mondo della ricerca e della scuola, del mondo del lavoro, dei giovani e dell’associazionismo”.
E ben visibili sono gli effetti degli endorsement che hanno tirato la volata di Montalbano jr alla segreteria e che ora, a diverso titolo, sono pronti a fare sul serio dopo il ritiro in buon ordine degli sfidanti-comparsa delle primarie: il segretario pro-tempore (più propriamente il curatore fallimentare del Pd) Maurizio Martina e Roberto Giachetti, asfaltato, quest’ultimo, nella sfida per il Campidoglio da Virginia Raggi e candidato di bandiera – a mezz’asta – di ciò che resta del renzismo.
Sull’asse Roma – Milano ha fatto sentire per primo la propria voce l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, rimasto sapientemente defilato dopo l’exploit della stagione dei sindaci arancioni, e che ora torna prepotentemente protagonista e pronto ad assumere il ruolo di capolista nel nord-ovest per le elezioni europee di maggio. Una mano più che tesa è arrivata da Romano Prodi, secondo il quale “L’Italia e il Pd hanno bisogno di un padre”, “di una figura autorevole, che sappia finalmente ascoltare, riconciliare, tranquillizzare ma anche decidere”.
Sull’ambizioso carro di Zingaretti si sono ben posizionati anche l’ex premier Paolo Gentiloni, subentrato a Renzi dopo la disfatta della campagna referendaria che ha sancito il tracollo del renzismo tracotante. Così come Andrea Orlando, già ministro della Giustizia e prima ancora dell’Ambiente, Dario Franceschini ex ministro per i Beni Culturali, l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, l’intramontabile Piero Fassino, gli eurodeputati David Sassoli e Goffredi Bettini (potentissimo deux ex machina della sinistra politica romana) e, per ora obtorto collo, l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Ma, politica a parte, è pronta a saldarsi con Zingaretti una parte consistente del complesso e potente mondo imprenditoriale messo ai margini dal governo giallo-verde.
Non a caso, il primo appuntamento del neo-segretario del Pd si è tenuto a Torino, dove Zingaretti ha incontrato il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino sul tema della Tav, usando parole al vetriolo: “I bandi non si interrompano: sarebbe criminale- ha sentenziato – pensare di perdere centinaia di milioni di investimenti e migliaia di posti di lavoro”. Una strizzata d’occhio ai malumori espressi dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia sullo stallo dell’opera e, ad un tempo, una dura stilettata ai pentastellati nel punto più critico del loro percorso politico.
E proprio il recupero dell’elettorato di sinistra confluito nel Movimento fondato da Beppe Grillo è la scommessa forte di Zingaretti, che punta chiaramente allo svuotamento di consensi e politico del Movimento. Una débâcle dei Cinque Stelle alle europee segnerebbe infatti la fine della stagione del consenso del Movimento, e metterebbe lo stesso alleato Matteo Salvini con le spalle al muro a tutto beneficio di una ricomposizione del centrodestra. Ed a vantaggio non tanto di un affaticato Silvio Berlusconi quanto delle forti ambizioni a medio termine di Giorgia Meloni, che punta proprio con Salvini a dare vita ad una nuova destra sovranistra con il coinvolgimento, questa volta minoritario, della tradizione popolare e cattolica incarnata da ciò che resta di Forza Italia.
Una scommessa, quella di Zingaretti, che potrà essere misurata dai prossimi sondaggi, prevedibilmente benevoli, e che – non è ardito pronosticarlo – potrà contare sul compatto sostegno dei principali media mainstream (carta stampata che conta e Biscione in testa), in vista di un voto europeo il cui esito si fa incerto tanto quanto la tenuta dell’attuale governo e gli scenari futuri della politica italiana.