
Attraverso queste dichiarazioni Maduro ha cercato di spingere il Presidente ad Interim verso l’esilio. Dal suo lato, Guaidò ha dichiarato che tornerà comunque nel Venezuela dato che l’arduo compito della transizione deve essere affrontato da vicino.
Durante l’ultima settimana, il Presidente ad interim ha fatto un tour ufficiale in Argentina, in Brasile, nel Paraguay e in Ecuador, rispettivamente. Affermando che le sue visite fanno parte di un “percorso che ha come obiettivo porre fine all’usurpazione, un governo di transizione e le libere elezioni”, Guaidò ha annunciato più volte il proprio ritorno nel Venezuela per far fronte, dall’interno, alla lotta che lo vede impegnato in quanto legittimo Presidente al fine di far valere la costituzione e ripristinare l’esercizio della democrazia.
Il 27 febbraio Guaidò sarebbe stato accolto con onori dal Presidente Bolsonaro e, avendo avuto l’occasione di esporre nel suo discorso la grave emergenza umanitaria e l’urgenza di una transizione nel Paese, Juan Guaidò ha annunciato il suo ritorno nel Venezuela.
Allo stesso modo, il 2 Marzo è stato ricevuto a Quito dal Presidente Lenin Moreno, il quale ha affermato che l’Ecuador ha sofferto sulla pelle il ‘flagelo’ del Socialismo del Siglo XXI. Nelle altre visite in Argentina e in Paraguay Guaidò ha rafforzato il sostegno della Regione intorno al suo nuovo governo e al recupero delle istituzioni democratiche.
Dall’Ecuador, Guaidò ha annunciato che tra il lunedì e il martedì tornerà nel Venezuela invitando tutti a fare attenzione sull’agenda di mobilitazione che verrà convocata per sostenere il suo arrivo. Il presidente ad interim ha annunciato che chiunque si ponga dalla parte della costituzione riceverà la grazia da parte del suo governo. Il suo monito è stato direttamente rivolto sia ai militari che alla popolazione civile.
Senza lasciarsi sconvolgere dalle minacce rivolte nei suoi confronti, Guaidò ha ammesso che la sua stessa vita sembra essere a rischio aggiungendo che se Maduro provasse a imprigionarlo farebbe un grosso errore che finirebbe per innescare una rivolta popolare.
Sempre durante l’ultima settimana, secondo l’Ufficio Migrazioni della Colombia, è salito a 547 il numero dei soldati che hanno abbandonato il Venezuela oltrepassando il confine mentre nella località di Santa Elena de Uairén, nella frontiera con il Brasile, ha proseguito il massacro dei membri dell’etnia indigena ‘Pemòn’ dopo che questi ultimi si sono dichiarati in Protesta per esigere l’ingresso degli aiuti umanitari.
C’è da sottolineare che il livello della repressione nei confronti della popolazione civile è aumentato dopo il 28 febbraio, quando Maduro è stato salvato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU grazie al veto di Mosca e Pechino, i quali non hanno esitato al momento di bloccare la proposta di risoluzione che prevedeva l’entrata dei soccorsi umanitari nel Paese. Purtroppo, ad Oriente vedono ancora di buon occhio il regime che ha sottoposto il Venezuela alla presente crisi umanitaria. Rebus sic santibus, la situazione sarà ancora bloccata.
Un altro elemento chiave da sottolineare è come in Sudamerica tutti – tranne il Bolivia di Evo Morales – siano dalla parte di Guaidò. Si tratta di una specie di solidarietà sorta da quando i Popoli della Regione hanno evitato che il ‘Socialismo del Siglo XXI’ portasse in declino le loro democrazie e hanno individuato nel Regime di Maduro una minaccia alla stabilità dell’emisfero.