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Il vertice Trump-Kim si è rivelato un nulla di fatto

| 1 Marzo 2019 | ESTERI, IL FORMAT

Il vertice di Hanoi tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un si è risolto con un nulla di fatto. I lavori sono terminati prima del previsto. Il pranzo di lavoro a cui i due capi di Stato avrebbero dovuto partecipare insieme alle rispettive delegazioni è stato annullato.

Le aspettative per questo summit, il secondo dopo quello di Singapore dello scorso 12 giugno, erano molto alte. Non solo erano attesi significativi passi in avanti sulla via di un accordo per la denuclearizzazione, ma ci si aspettava pure una qualche dichiarazione in merito ad un eventuale trattato di pace che ponesse definitivamente fine alla guerra del 1950-53.

Dopo che i primi colloqui avvenuti nel corso della giornata di mercoledì avevano suscitato la soddisfazione di entrambi i capi di Stato, ci si aspettava tutto meno che un inatteso stop ai lavori. Il programma prevedeva il proseguimento dei colloqui nel corso della mattinata di giovedì, seguiti da un pranzo di lavoro, dalla firma di una dichiarazione congiunta e, in conclusione, da una conferenza stampa congiunta. Tuttavia, al termine dei colloqui mattutini, Trump e Kim Jong-un hanno abbandonato l’hotel in cui si tenevano i negoziati. La fine precoce dei lavori ha scioccato gli osservatori di tutto il mondo, che tanta fiducia riponevano nella buona riuscita di questo summit.

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Il fallimento del vertice di Hanoi segna una forte battuta d’arresto nell’inedito processo diplomatico che ha portato, per la prima volta nella storia, i vertici di Nord Corea e Stati Uniti a un tavolo comune. Ora come ora azzardare ipotesi dettagliate sul futuro è precoce. Entrambe le parti hanno interesse a mantenere lo status quo e tutelare i pur notevoli progressi fatti finora. Di certo, questo vertice ha portato alla luce tutte le differenze tra le due parti. L’intesa su un accordo onnicomprensivo che vada dalla denuclearizzazione alla firma di un trattato di pace che ponga fine alla guerra del 1950-53 è un’ipotesi ancora troppo lontana nel tempo.

All’esito nefasto di questo summit ha contributo, molto probabilmente, il fatto che Washington e Pyongyang non abbiano ancora stabilito una definizione precisa e condivisa di denuclearizzazione. Come abbiamo scritto nell’articolo precedente, Nord Corea e Stati Uniti interpretano il termine denuclearizzazione in modo assai differente. Questa differenza di vedute certamente rappresenta un grosso ostacolo per qualsiasi avanzamento dei negoziati verso risultati concreti.

Secondo il presidente Trump, il fallimento del vertice è stato dovuto ad eccessive richieste da parte nordcoreana. Il presidente americano, che al termine dei lavori ha tenuto una conferenza stampa, ha affermato che, nell’ambito della denuclearizzazione, i nordcoreani si sarebbero dichiarati disponibili a smantellare permanentemente il centro di ricerca nucleare di Yongbyon, uno dei più importanti del paese. In cambio però avrebbero chiesto la rimozione completa delle sanzioni americane. Per la delegazione statunitense questa richiesta era eccessiva. Come la denuclearizzazione, anche la rimozione delle sanzioni dovrà avvenire in modo graduale.”Tutto ha avuto a che fare con le sanzioni. Loro volevano che le rimuovessimo completamente, ma non siamo disposti a farlo” ha precisato Trump.

Tuttavia, la versione della delegazione nordcoreana differisce da quella americana. Il ministro degli esteri nordcoreano Ri Yong-ho ha dichiarato che il suo paese ha fatto delle proposte realistiche in merito alla denuclearizzazione, ma gli Stati Uniti avrebbero chiesto di fare di più oltre a smantellare il centro di Yongbyon. Inoltre, il ministro degli esteri ha aggiunto che il governo nordcoreano ha chiesto una rimozione parziale delle sanzioni, e non totale, come invece ha dichiarato il presidente americano. Insomma, le versioni espresse dalle due parti sui motivi per cui i negoziati hanno fallito sono parecchio confliggenti.

Sebbene abbia detto che attualmente non è in programma un terzo summit, Trump ha auspicato che nelle prossime settimane i funzionari dei rispettivi governi continuino a rimanere in contatto, in modo da non far affondare del tutto il dialogo.

I due capi di Stato tornano quindi a casa con le mani vuote. Ad essere particolarmente amareggiato è il presidente americano, il quale sperava in un successo diplomatico per spostare l’attenzione dalle dichiarazioni violentissime del suo ex avvocato Michael Cohen. Durante un’audizione tenuta di fronte a una commissione del Congresso, Cohen ha definito il presidente americano “un razzista, un impostore, un truffatore”. Sebbene la credibilità di Cohen sia discutibile, poiché egli stesso ha ammesso di aver mentito difronte al Congresso in una passata audizione, le vicende giudiziarie relative al cosiddetto Russiagate continuano ad essere uno scomodo grattacapo per il presidente. Ora però Trump deve mettere da parte la delusione per il fallimento del vertice con Kim ed occuparsi della politica interna.

TAG: armi nucleari, bilaterale, Corea del Nord, denuclearizzazione, Donald Trump, Hanoi, Kim Jong-Un, missili balistici, negoziati, Nord Corea, Presidente Donald Trump, Pyongyang, sanzioni, sanzioni economiche, summit, testate nucleari, trattative, vertice di Hanoi, Washington
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