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Brexit: laburisti favorevoli a un secondo referendum

| 26 Febbraio 2019 | ESTERI

Il partito laburista britannico appoggia l’iniziativa di un secondo referendum sulla Brexit.

A dirlo è il leader del partito Jeremy Corbyn ai suoi parlamentari. Dopo aver preso in considerazione il secondo referendum come opzione per uscire dall’impasse già durante il congresso del partito nel settembre 2018, per la prima volta Corbyn afferma l’intenzione di agire in sede parlamentare con lo scopo di indire un secondo referendum sulla Brexit. Si tratta dell’ennesimo colpo di scena nel processo politico che, con mille difficoltà, sta accompagnando il Regno Unito fuori dall’Unione Europea.

I laburisti sono intenzionati a presentare alla Camera dei Comuni un emendamento favorevole a un secondo referendum, ma ciò verrà fatto solo se la Camera, com’è altamente probabile, non approverà il piano da loro elaborato per la Brexit. Il piano alternativo laburista prevede una Brexit morbida, con Londra che rimarrebbe nell’unione doganale in modo permanente e strettamente legata al mercato unico europeo. Fumo negli occhi per la nutrita truppa degli hard Brexiteers conservatori che in gennaio hanno sonoramente espresso la loro opposizione al piano della primo ministro Theresa May, che oltretutto era meno morbido dell’alternativa laburista. Il piano è stato elaborato tra gli altri da Keir Starmer, deputato laburista e ministro per la Brexit del governo ombra dell’opposizione, il quale ha scritto sul suo account Twitter: “questa settimana il partito laburista presenterà alla Camera dei Comuni il suo piano alternativo per la Brexit. Se il parlamento rigetterà la nostra proposta allora rispetteremo la promessa fatta al nostro congresso annuale e appoggeremo un voto popolare”. I laburisti dovrebbero presentare il loro progetto alternativo nella seduta di domani.

“In un modo o nell’altro, faremo tutto in nostro potere per evitare un No Deal e opporci alla dannosa Brexit dei conservatori basata sull’accordo di Theresa May respinto ad ampia maggioranza” ha affermato Corbyn. Il leader laburista difende l’idea del secondo referendum, in merito al quale si era sempre mostrato ambiguo, come strumento “per evitare che la dannosa Brexit dei conservatori venga imposta al paese”. Secondo i laburisti, May vuole arrivare all’ultimo momento per mettere il parlamento di fronte al bivio che vedrebbe da una parte l’accettazione di un accordo che nessuno vuole, e dall’altra una Brexit senza accordo, incerta, confusionaria e preannunciata catastrofica per l’economia. I laburisti appoggeranno anche l’emendamento Cooper-Letwin che prevede di posticipare l’uscita di Londra dall’Ue attraverso l’estensione dell’articolo 50, nel caso in cui la primo ministro non riesca a far approvare il suo accordo entro il prossimo 13 marzo. Il giorno prima dovrebbe tenersi in parlamento quello che May ha definito un “voto significativo”, ovvero l’ultima votazione del suo accordo, per quanto possibile rivisto e modificato, prima del 29 marzo, giorno in cui la Brexit sarà realtà. Se prima di quest’ultima data il governo non riuscirà a far approvare un accordo dal parlamento sarà No Deal.

Nel frattempo, il presidente del consiglio europeo Donald Tusk ha definito “razionale” l’ipotesi di posticipare la Brexit oltre il 29 marzo. “Penso che, tenuto conto della situazione nella quale ci troviamo, un rinvio ulteriore sarebbe una soluzione razionale” ha dichiarato Tusk durante la conferenza stampa al termine del summit tra Ue e Lega Araba tenutosi ieri a Sharm El-Sheik, in Egitto. La risposta della primo ministro britannica non si è fatta attendere. Per May non ci sono dubbi che il suo governo riuscirà a far approvare un accordo dal parlamento entro il 29 marzo, pertanto qualsiasi ipotesi di rinvio è fuorviante.

Ad ogni modo, sebbene sia una novità che Corbyn dichiari pubblicamente di appoggiare un secondo referendum e annunci l’intenzione di agire in tal senso in sede parlamentare, non è affatto detto che un secondo referendum possa essere la soluzione per sbloccare l’attuale crisi politica, anzi. 

Effettivamente, pensandoci un attimo, tutta la questione del secondo referendum non è altro che un grosso punto interrogativo. Una fonte di ulteriori grattacapi e problemi piuttosto che una soluzione. Innanzitutto, quale sarebbe il quesito del referendum? Gli elettori potrebbero essere chiamati a rispondere alla stessa domanda del referendum del 23 giugno 2016. Oppure gli potrebbe essere chiesto di decidere se annullare o meno la decisione presa quel giorno dalla maggioranza dei votanti. O ancora, potrebbero essere chiamati ad esprimersi sull’accordo negoziato dal governo e già bocciato dal parlamento un mese fa, cioè decidere se avvallarlo o meno. Sembra che i laburisti favorevoli al secondo referendum siano propensi per quest’ultima ipotesi. Ma ipotizziamo che pure la maggioranza dei votanti bocci l’accordo negoziato da May. Che succederebbe in tal caso? La primo ministro dovrebbe tornare a Bruxelles per ricominciare le negoziazioni da capo? La Brexit verrebbe annullata? In caso contrario, il Regno Unito rimarrebbe nell’Ue fino alla conclusione di un nuovo accordo o uscirebbe allo scoccare della data prestabilita? E poi, considerando che la Brexit avverrà tra un mese e tre giorni e posto che May non è intenzionata a posticiparla, come si fa a organizzare un referendum, con tanto di campagna elettorale connessa, in un lasso di tempo così breve? Oltretutto, i laburisti non sono affatto compatti in favore di un referendum bis. Infatti, i deputati provenienti dalle circoscrizioni che votarono in maggioranza per il Leave non sono così tanto disposti ad appoggiare un altro referendum. Pertanto, le possibilità di raggruppare una maggioranza parlamentare favorevole sono davvero poche.

Al di là delle innumerevoli problematiche relative all’indizione di un secondo referendum, si potrebbe ipotizzare che Corbyn abbia deciso di giocare in extremis questa carta per evitare che altri deputati escano dal partito, dopo la scissione della scorsa settimana. Si tratterebbe quindi di una proposta originata da dinamiche interne al partito piuttosto che dalla sincera volontà di offrire un’alternativa alla politica intrapresa finora dai conservatori.

Il secondo referendum è la proposta sbandierata dai Remainers delusi dal risultato della consultazione popolare del 23 giugno 2016. Pur non sapendo nemmeno con certezza cosa chiedere ai cittadini, sperano che in questi anni la volontà popolare sia cambiata. Con ingenuità, essi non tengono conto del fatto che un secondo referendum potrebbe avere lo stesso risultato del primo. E pertanto saremmo punto a capo.

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