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Francia, profonda crisi di rappresentatività

| 21 Gennaio 2019 | ESTERI

C’è da ammettere che i gilet gialli hanno messo in ginocchio il governo di Macron che non appare in grado di dare una risposta efficace al fenomeno in corso. L’insaziabile protesta non sembra fermarsi così facilmente, gode con il sostegno di oltre il 70% della popolazione francese ma a preoccupare di più l’Eliseo è proprio l’eterogeneità di un movimento che da un lato stenta ad esprimere in modo coerente le proprie idee e dall’altro, continua a distruggere beni pubblici e privati lasciandosi non pochi disordini alle spalle.

Dopo quasi tre mesi di proteste sarebbe necessario indagare sulle vere ragioni che mantengono i francesi nelle strade. Bisogna chiedersi quali siano i problemi o le carenze di un Paese democratico in cui la popolazione decide di scendere nelle piazze e manifestare anche in modo violento contro un governo eletto poco fa e che solo qualche anno dopo potrebbe tranquillamente mandare a casa attraverso il voto stesso. Inoltre, le ragioni della protesta andrebbero cercate al di là del tentativo maldestro dell’Eliseo di aumentare la tassa sul carburante mentre si è ai minimi della popolarità.

Una delle ragioni principali, quindi, è la crisi di rappresentatività che attraversa il Paese. Di fatto, i Partiti tradizionali sono morti lentamente fino a scomparire di scena e l’attuale governo si presenta alla popolazione in un rapporto quasi diretto, in assenza di Partiti, movimenti ed esperti di comunicazione politica che possano contribuire ad agevolare il contatto tra i cittadini e i rappresentanti dello Stato. D’altronde, gli estremi che rappresentano l’opposizione non offrono un’alternativa seria ne affidabile alla popolazione. In altre parole, buona parte del malessere francese è dovuto alla crisi di rappresentatività che si configura da anni nel Paese Transalpino.

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I casi più vicini nel tempo

La Francia attraversa una profonda crisi di rappresentatività dovuta all’esaurimento di una classe politica che non è riuscita a rinnovarsi nel tempo. Dopo le ultime delusioni subite con i governi di Sarkozy e Francois Hollande, i francesi si sono sentiti traditi – sensazione trasversale in buona parte dei Paesi europei – da una Classe Politica autoreferenziale, costituita da esponenti incapaci di prendersi sul serio i problemi della popolazione e di offrire soluzioni efficaci di fronte a tensioni di natura sociale ed economica che non potevano più essere ignorate.

I neo-gollisti e i socialisti sono  ormai percepiti dall’elettorato francese e, soprattutto dai giovani, come i difensori di una specie di ancien regime con degli interessi molto ristretti e ben distanti dalla maggior parte della popolazione. I risultati di questo declino si sono evidenziati nelle Presidenziali del 2017, le quali hanno visto il tracollo totale di un sistema bi-partitico che non è più riuscito a dar voce alle nuove domande sociali né ad arginare il malcontento nella popolazione.

Dopo il crollo dei Partiti tradizionali

Da quel momento, nell’arena politica francese sono rimasti tre singoli attori: Emmanuel Macron, Marine Le Pen e Jean-Luc Melenchon. Il primo, collocato al centro dello spettro politico è riuscito ad ottenere il consenso di diversi settori dell’elettorato. Un consenso che è svanito velocemente dopo il boom iniziale, sia per l’assenza di una formazione politica solida che riuscisse a diffondere un messaggio favorevole alla sua amministrazione, sia per alcune decisioni politiche fatte senza il calcolo né la giustificazione necessari in ogni regime democratico; dall’altra parte, abbiamo due rappresentanti collocabili nelle frange più estreme: Jean-Luc Melenchon e Marine Le Pen, a estrema sinistra ed estrema destra rispettivamente. Entrambi hanno visto un notevole aumento dei consensi durante le ultime elezioni ma senza sfiorare i numeri necessari per governare. Ulteriori approfondimenti sull’ascesa degli estremi andrebbero fatti in un’altra sede, per ora ci basta soffermarci in questa prospettiva per capire la natura dei cambiamenti che hanno avuto luogo nel Paese transalpino.

In altre parole, la sola elezione di Macron e l’ascesa delle due ali più estreme al suo fianco, hanno rappresentato il colpo di grazia per un sistema di partiti moribondo. Non c’era da stupirsi se un giovane senza partito, lontano da essere un politico tradizionale diventava il Presidente della Repubblica. A sorprendere tutti invece è stato il declino strepitoso di quel “giovane promettente” che avrebbe affrontato certe questioni irrisolte sul piano economico e sociale ma che non ha saputo vendere le proprie policies ad un elettorato troppo impaziente.

Un governo impopolare ma senza opposizione 

Quando parliamo del declino di una forza politica, c’è da aspettarsi una riposta quasi fisiologica, e cioè, l’ascesa di altri schieramenti politici pronti a rappresentare l’alternativa. Ebbene, in Francia è accaduto il contrario. Il declino di Macron non è stato accompagnato dall’ascesa di nessun altro schieramento politico: di conseguenza, stiamo parlando di un governo impopolare (crollato nei sondaggi da oltre il 66% nel 2017 a meno del 20% nei primi mesi del 2018) che sopravvive senza alcuna opposizione sul piano politico.

La presenza di governo indebolito e l’assenza di un’opposizione o di qualsiasi “corpo intermedio” che si faccia portavoce di un malcontento che si acuisce nella popolazione è una delle prime cause di un malessere cronico che ha finito per esplodere nelle piazze.

A questo punto della nostra analisi, non sarebbe una forzatura citare le stesse parole con le quali, nel novembre del 1977, l’ambasciatore di Palazzo Farnese, Puaux, in una lunga e accurata riflessione,  aveva descritto la situazione italiana:…non potendosi esprimere in Parlamento, la contestazione è passata nella strada e il suo linguaggio è quello della violenza.

TAG: #Melenchon, LePen, Macron, Puaux
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