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Trump decide il ritiro delle truppe dalla Siria e lascia campo libero a Erdogan

| 21 Dicembre 2018 | ESTERI

Il presidente americano Donald Trump ha deciso di ritirare le truppe di terra presenti in Siria. Si tratta di circa 2.000 soldati dislocati nel nord-est del paese che in questi anni hanno addestrato le forze curde ed eseguito bombardamenti d’artiglieria contro le postazioni dell’Isis. Ed è proprio per il fatto che lo Stato Islamico è stato sconfitto che Trump ha deciso di ritirare i soldati dal teatro di guerra siriano. L’intervento americano nella guerra contro l’Isis iniziò durante la presidenza Obama, nell’estate 2014. Da allora gli Stati Uniti hanno guidato una coalizione di paesi che è intervenuta militarmente contro lo Stato Islamico principalmente attraverso bombardamenti aerei di supporto alle forze locali arabe e curde presenti sul campo.

Sebbene controlli ancora alcune aeree desertiche nell’est della Siria, l’Isis ha perso quasi tutta la potenza che fino a due anni fa lo rendeva uno degli attori chiave della politica mediorientale. Prima Mosul, poi Raqqa, infine Deir ez-Zor, l’Isis è stato cacciato da tutte le grandi città e le zone strategiche che controllava. Sconfitto lo Stato Islamico viene a mancare il motivo dell’intervento americano in Siria. Missione compiuta per le truppe a stelle e strisce presenti nel paese mediorientale che da quasi sette anni è devastato da una terribile guerra civile. Tuttavia, il ritiro delle truppe di terra non implica la fine dell’intervento americano. Gli Stati Uniti potranno sempre far sentire la loro potenza militare con bombardamenti aerei e attacchi missilistici, come avvenuto la scorsa primavera quando gli americani, insieme con britannici e francesi, attaccarono le postazioni dell’esercito siriano dopo che esso condusse un presunto bombardamento con armi chimiche contro la popolazione civile.

In realtà, la questione non è così semplice. La vittoria contro l’Isis non è l’unico motivo per cui Trump ha deciso di ritirarsi dalla Siria, né sarebbe il principale. Sembra che all’origine di questa decisione vi sia la volontà da parte della Turchia di lanciare una nuova operazione militare nel nord-est del paese che prenderà di mira i curdi, alleati degli americani. I turchi considerano le forze armate curde in Siria (Ypg) un gruppo terroristico che minaccia la sicurezza nazionale per via dei suoi legami con il Pkk, un partito curdo attivo nel sud-est della Turchia che ha scelto la strategia della lotta armata ed è riconosciuto come organizzazione terroristica dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Ankara è intervenuta massicciamente nella guerra civile siriana. L’esercito turco ha invaso il nord della Siria e attualmente occupa alcune province di confine. L’obiettivo dell’intervento turco è sempre stato quello di evitare il consolidamento politico-militare dei curdi a ridosso del confine. L’ultima operazione militare della Turchia in Siria, nome in codice Ramoscello d’Ulivo, che si è svolta da gennaio a marzo di quest’anno, ha portato alla conquista da parte dell’esercito turco e delle milizie ribelli appoggiate da Ankara della provincia di Afrin.

L’ostilità dei turchi nei confronti dei curdi ha sempre cozzato con l’appoggio americano su cui essi hanno potuto contare. Questo fatto, insieme alla cooperazione con Mosca e Teheran e all’acquisto dei sistemi anti-missile S-400 russi, ha reso abbastanza ambiguo il rapporto tra Ankara e Washington all’interno della Nato. Sebbene dotata del secondo più grande esercito dell’alleanza nord-atlantica, la Turchia non si fa troppi problemi ad agire come un cane sciolto in Siria, cercando l’intesa con Russia ed Iran piuttosto che con gli Stati Uniti e agendo deliberatamente contro i loro alleati in Siria, cioè  i curdi.

Sembra che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sia intenzionato a lanciare una nuova offensiva nel territorio siriano controllato dai curdi, a est del fiume Eufrate. Erdogan avrebbe comunicato le sue intenzioni a Trump durante una conversazione telefonica il quale non si è opposto ai progetti del suo omologo turco. Il ritiro delle truppe americane appare quindi come un’ulteriore conferma del fatto che Washington lascia campo libero ad Ankara per le sue operazioni militari, la quale d’ora in avanti non dovrà più preoccuparsi di incappare in problematici incidenti diplomatici e militari con il suo alleato a stelle e strisce. Comunque il ritiro delle truppe americane non accadrà da un giorno all’altro. Servirà tempo per far rimpatriare i 2.000 soldati presenti sul campo. Quanto di preciso non è possibile saperlo con esattezza.

Non solo la decisione americana è stata ben accolta dal governo turco, le parole di Trump hanno suonato come musica per le orecchie dei due principali competitor di Washington nella regione, ovvero Russia e Iran. Con gli americani che procedono con il loro disimpegno, russi ed iraniani potranno consolidare ulteriormente la loro influenza in Siria. Il destino post-bellico del paese dipenderà dall’intesa tra Turchia, Russia ed Iran e il ritiro delle truppe americane non fa altro che confermare questa idea. Washington vuole diminuire la sua presenza nel Medio Oriente ma così facendo permette ai suoi competitor di accrescere la loro influenza nella regione mentre gli alleati Israele e Arabia Saudita si rendono conto giorno dopo giorno che in futuro potranno contare sempre di meno su Washington. La decisione di Trump solleva parecchi interrogativi soprattutto in relazione alla minaccia iraniana percepita dall’amministrazione americana. In effetti molti funzionari di alto rango non sono d’accordo con la decisione del presidente.

Da un lato Trump contrasta ferocemente l’Iran imponendo sanzioni economiche, dall’altro decide il ritiro delle truppe dalla Siria, teatro chiave in cui Teheran sta intervenendo massicciamente e sta consolidando la sua influenza, anche se in competizione con Mosca. Trump ha preferito, comprensibilmente, i turchi ai curdi ma con questa decisione ha fatto un favore anche ai rivali russi e iraniani.

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