Spiragli di pace sembrano aprirsi nello Yemen martoriato da quasi quattro anni da una cruenta guerra civile combattuta senza il minimo riguardo per la condizione della popolazione inerme. Delegazioni delle principali fazioni belligeranti si incontreranno nei prossimi giorni a Stoccolma per intavolare un negoziato che possa condurre a una risoluzione pacifica del conflitto, cercando di evitare ulteriori sofferenze per la popolazione yemenita vittima della più grave crisi umanitaria del mondo.
Le principali fazioni della guerra civile yemenita sono due: i miliziani di Ansar Allah di fede sciita zaidita, comunemente detti Houthi dal nome del fondatore del gruppo, e i miliziani fedeli al presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, riconosciuto dalle Nazioni Unite. La guerra civile scoppiò nel marzo 2015 quando gli Houthi si impossessarono della capitale Sana’a costringendo Hadi alla fuga a Riad. Dopo il colpo di Stato degli Houthi, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti intervennero militarmente a capo di una coalizione di Stati arabi sunniti, appoggiata anche dagli Stati Uniti. L’intervento della coalizione a guida saudita-emiratina fu motivato dal timore, da parte di Riad, che gli Houthi divenissero un influente partito-milizia filo-iraniano, in pratica qualcosa di simile a Hezbollah, in grado di minacciare la sicurezza nazionale. In poche parole, Riad ha voluto agire contro gli Houthi per limitare l’influenza iraniana ai suoi confini, nell’ambito della cosiddetta guerra per procura che Riad e Teheran stanno combattendo in diversi teatri del Medio Oriente. Effettivamente, gli Houthi sono appoggiati dall’Iran ma non è ben chiaro come e quanto lo siano. Se volete saperne di più sull’inizio della guerra civile yemenita, vi consigliamo di leggere questo articolo.
Fatta questa breve ma necessaria premessa, ai negoziati parteciperanno solamente la delegazione degli Houthi e quella dei lealisti che appoggiano il presidente Hadi. Non parteciperanno quindi né i sauditi, né gli emiratini né gli iraniani. Tuttavia, sia Teheran che Riad hanno appoggiato l’iniziativa promossa dalle Nazioni Unite. L’Arabia Saudita, a differenza dell’Iran, ha finora svolto un ruolo da protagonista nella guerra civile yemenita, conducendo innumerevoli raid aerei sulle postazioni degli Houthi che hanno però finito per uccidere migliaia di civili e distrutto le già fatiscenti infrastrutture igienico-sanitarie del paese. I sauditi, inoltre, hanno imposto un blocco aero-navale dello Yemen con lo scopo di indebolire i miliziani sciiti. Tuttavia, questa iniziativa ha colpito innanzitutto la popolazione civile, aggravando la disperata situazione umanitaria in cui essa versa.
Ma come mai si è deciso di intavolare nuovi negoziati di pace proprio adesso? Ricordiamo che tentativi di dialogo furono già intrapresi nel 2016 e anche lo scorso settembre, senza che si giungesse ad alcun tipo d’intesa per una risoluzione politica del conflitto. Considerando la catastrofica situazione umanitaria della popolazione yemenita, verrebbe da pensare che si sia deciso di negoziare per assicurare l’assistenza umanitaria ai civili ed evitare che continuino a morire di fame a migliaia. Secondo Save the Children infatti, dallo scoppio della guerra a oggi sarebbero morti di fame 85.000 bambini. Tuttavia, come abbiamo scritto in un articolo precedente, milioni di yemeniti rischiano di fare la stessa fine. In realtà, all’origine di questo round di negoziati vi sarebbe l’affare Khashoggi. La brutale uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuta lo scorso 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul, ha scatenato una rumorosa ondata di indignazione nei confronti dell’Arabia Saudita per via della sua totale mancanza di rispetto per i diritti umani. La vicenda Khashoggi ha fatto anche da pretesto per attirare l’attenzione sul ruolo dell’Arabia Saudita nella guerra civile yemenita. Regno Unito e Stati Uniti, alleati di ferro di Riad grazie a una duratura cooperazione fatta di petrolio in cambio di armi, hanno fatto pressione anche pubblicamente per ricercare una risoluzione politica e condivisa del conflitto. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo e il ministro degli esteri britannico Jeremy Hunt, nelle settimane successive all’omicidio di Khashoggi, si sono dichiarati favorevoli a un negoziato tra le parti belligeranti, sotto l’egida dell’Onu, per mettere fine alla silenziosa carneficina che da quasi quattro anni sta devastando il paese più povero del Medio Oriente. Pure il segretario alla difesa americano James Mattis ha sollecitato questo tipo di iniziativa.
Ieri pomeriggio la delegazione degli Houthi, accompagnata dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Martin Griffiths, è decollata da Sana’a con destinazione Stoccolma. L’aereo è stato offerto dal governo del Kuwait, che si propone come mediatore per una risoluzione pacifica del conflitto yemenita. La delegazione dei lealisti potrebbe arrivare nella capitale svedese già oggi.
Ad ogni modo, il fatto che le fazioni belligeranti si incontrino per negoziare la pace non deve suscitare eccessivo entusiasmo. È certamente positivo che Houthi e lealisti si siedano attorno a un tavolo per dialogare, ma non c’è alcun motivo per credere che si possa arrivare alla fine del conflitto in tempi rapidi. Innanzitutto occorre stabilire un rapporto di fiducia reciproca tra le parti, poi verranno esposte le rispettive richieste e solo allora si negozierà per trovare un compromesso. Non è detto che le richieste degli Houthi e quelle dei lealisti siano compatibili, né è dato sapere quanto ciascuna delle parti sia disposta a concedere all’altra. Mark Lowcock, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (Ocha), è scettico sull’esito dei negoziati. Lowcock non si aspetta “un processo facile o rapido”. Un modo diplomatico per dire che le trattative saranno lunghe e faticose, ammesso e non concesso che vi siano le condizioni per intavolare un negoziato. Inoltre, affinché si possa parlare seriamente di una risoluzione pacifica, bisognerà mantenere una tregua sul campo, cosa nient’affatto semplice considerando che è in corso una battaglia molto importante per il controllo del porto strategico di Al-Hudaydah.
Insomma, ben vengano dopo due anni le trattative di pace, ma non bisogna farsi troppe illusioni. L’unica certezza è che, anche con i negoziati in corso, la maggior parte della popolazione civile yemenita continuerà a soffrire terribilmente i morsi della fame e il disagio delle malattie.