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Yemen: 85 mila bambini morti di fame ma milioni di persone rischiano di fare la stessa fine, pochi però lo dicono

| 23 Novembre 2018 | ESTERI

L’organizzazione non governativa Save The Children ha reso noto ciò che chi si informa di Medio Oriente andando al di là dei notiziari nostrani conosce già da tempo. La popolazione yemenita è allo stremo, sfiancata da tre anni e mezzo da una terribile guerra civile combattuta senza la benché minima considerazione per i diritti umani dei civili, i quali sono le vittime della peggiore crisi umanitaria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

Per saperne di più sulla genesi della guerra civile yemenita si consiglia di leggere questo articolo.

“Circa 85.000 mila bambini potrebbero aver perso la vita a causa della fame estrema dall’inizio della guerra. Per ogni bambino ucciso da bombe e proiettili, dozzine stanno morendo di fame e ciò si potrebbe prevenire” ha denunciato Tamer Kirolos, direttore di Save The Children nello Yemen. “Secondo le Nazioni Unite si stima che 400.000 bambini soffriranno di grave malnutrizione acuta, la forma più letale di fame estrema, nel 2018, 15.000 in più rispetto al 2017” mentre, sempre secondo le Nazioni Unite, “14 milioni di persone sono a rischio carestia” si legge in un comunicato rilasciato dalla ong.

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Tutto nella norma in quell’inferno terrestre che è diventato lo Yemen, dove la fame uccide più delle bombe. Sebbene non sia violenta, la morte per fame è sotto un certo punto di vista peggiore, perché uccide in modo lento e agonizzante. A fare le spese di tutte queste indicibili sciagure sono innanzitutto i civili. Il comunicato di Save The Children è l’ennesima constatazione della più grave crisi umanitaria del mondo che da anni viene documentata dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni non governative. Ciononostante l’opinione pubblica è poco o nulla informata riguardo a questa terribile guerra, complice ovviamente il disinteresse da parte dei media, salvo un paio di eccezioni.

Eppure nelle ultime settimane la guerra civile yemenita è apparsa in due occasioni su tutti i nostri mezzi d’informazione, sia cartacei che televisivi. La prima occasione è stata quando il premio Pulitzer Tyler Hicks fotografò Amal Hussain, bambina di 7 anni ridotta a un minuscolo scheletro dalla fame, la quale morì pochi giorni dopo essere stata fotografata. La seconda si è avuta in questi giorni in seguito al comunicato rilasciato da Save The Children.

Tuttavia, la copertura mediatica di questi fatti non ha avuto come scopo quello di informare l’opinione pubblica bensì quello di sollecitarne le emozioni colpendo dritto al cuore, tentando di accendere la miccia dell’indignazione. Raccontare le storie di singoli individui vittime di grandi tragedie è una mossa sempre molto efficace, il cui fine è destare l’attenzione dell’audience e le sue emozioni. Ma questa non è informazione. Questa è strumentalizzazione delle tragedie. Può darsi che queste notizie scatenino l’indignazione di chi ascolta o legge. Ma è un’indignazione effimera e molto breve che dura il tempo di un servizio di telegiornale o il tempo di leggere un breve trafiletto sull’agenzia di stampa o sul quotidiano. Il giorno dopo è come se non fosse accaduto nulla. L’indignazione è passata, il ricordo di quella bambina scheletrica è svanito, i dati di quel comunicato sono passati di mente e chi dovrebbe informare su queste tragedie torna ad occuparsi dei pettegolezzi politici fino a quando non si presenterà la prossima notizia utile a spezzare il cuore dell’audience. Raccontare questi fatti prendendoli singolarmente, senza fare una descrizione o un’analisi del contesto, è un’inutile perdita di tempo che non fa alcun bene.

Questa strategia strumentale contribuisce a formare un’opinione pubblica indignata, non informata. Di bambine come Amal ce ne sono a decine di migliaia nello Yemen ma i mezzi d’informazione si sono mobilitati solo in quel caso perché qualcuno aveva scattato una foto impressionante in grado di fare breccia nell’immaginario collettivo.

La guerra dello Yemen sta causando una catastrofe umanitaria senza precedenti e la situazione è in continua evoluzione. La città di Al-Hudaydah, fondamentale per il rifornimento di aiuti umanitari alla popolazione grazie al suo porto, è teatro di un’aspra battaglia (di cui abbiamo parlato in questo articolo) mentre in seguito all’affare Khashoggi alcuni paesi occidentali hanno iniziato a fare pressioni sull’Arabia Saudita, la quale sta svolgendo un ruolo da protagonista in questa guerra. E pure gli Stati Uniti stanno facendo pressione su Riad affinché negozi una tregua. Tutto questo viene taciuto dai mezzi d’informazione. Perché? Perché manca l’immagine simbolo o il dato impressionante in grado di colpire le emozioni dell’audience, innanzitutto.

Eppure una catastrofe umanitaria come quella dello Yemen ha tutte le premesse per essere oggetto di reportage approfonditi. Ma lo Yemen è un paese poverissimo, e lo era già prima della guerra. Non c’è petrolio e non c’è interesse da parte delle grandi potenze, le quali non stanno intervenendo direttamente come in Siria. Inoltre, il “cattivo” di turno che sta facendo morire di fame una popolazione intera (l’Arabia Saudita) è alleato dei “buoni” (gli Stati Uniti) i quali sono in parte complici per quello che sta accadendo. A differenza della Siria, chi sta compiendo atrocità nello Yemen non è un “cattivo” (Bashar Al-Assad) alleato di un altro “cattivo” ( Vladimir Putin) e perciò demonizzabile dai governi occidentali e dalla stampa. A nessuno sembra che importi davvero qualcosa dello Yemen. Quando Al-Assad usò le armi chimiche contro la popolazione siriana, Stati Uniti, Regno Unito e Francia lo “punirono”. Ma l’Arabia Saudita può permettersi di affamare milioni di persone senza doversi preoccupare che i missili a stelle e strisce piovano su Riad, poiché è alleata dei “buoni” e quindi tutto le è concesso, finora. Purché continui a comprare armi e vendere petrolio.

La strumentalizzazione mediatica che è stata fatta di alcune cronache provenienti da quello sventurato angolo di Arabia può avere comunque una sua utilità. Per quanto le notizie siano sporadiche e poco approfondite, chi le riceve potrebbe essere stimolato a cercare altre informazioni. Per fare ciò bisogna spegnere la televisione e mettere da parte un buon numero di quotidiani e addentrarsi nella Rete, dove è possibile consultare fonti anche in lingua straniera. Nel frattempo, finché non ci saranno altre foto emblematiche da esibire, non sentiremo parlare della guerra dello Yemen.

TAG: Al-Hudaydah, Amal Hussain, Ansar Allah, Arabia Saudita, carestia, fame, guerra civile, guerra civile yemenita, guerra dello Yemen, Houthi, Jamal Khashoggi, Medio Oriente, Yemen
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