Risulta difficile parlare di cambiamento climatico e dell’accelerazione di questo fenomeno senza cascare nella metafisica o rimanere intrappolati nell’interminabile dibattito tra moralità e interesse. Il solo fatto di parlarne significa superare tutto ciò che ci distrae a livello sociale, politico ed economico per affrontare una realtà che sembra appartenere a un altra dimensione ma che in fondo coinvolge tutta l’umanità.
Alla nostra Casa Comune, come la definì Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì (2015) rimangono poche chance per ribaltare un processo che, se diventa irreversibile, costituirà la fine di ogni forma di vita sulla sua superficie. Nonostante scrivere questi paragrafi equivalga a sentirsi dire in anticipo da qualche lettore infastidito “lo sapevo già”, ci tengo a precisare che questo argomento non viene quasi mai affrontato secondo la sua gravità e, quando lo si fa, il rischio è quello di cascare nel dibattito controproducente tra accusatori e imputati, oppure nelle dichiarazioni metafisiche che non costituiscono nessun impegno tra le parti contraenti.
Tornando sul dibattito tra moralità e interessi, si tratta di un confronto strano che non è mai stato approfondito. I difensori della moralità e i promotori dell’interesse non riescono a superare un braccio di ferro che va avanti da anni e viene rivitalizzato, di volta in volta, dall’ideologia. Se riuscissimo ad andare oltre, potremmo comprendere la moralità e l’interesse come due fratelli che litigano tutto il giorno ma quando vedono minacciata la loro casa, la casa comune, uniscono i loro sforzi per difenderla: ecco perché andare oltre all’interminabile confronto porterebbe all’acquisto di una maggiore consapevolezza sull’urgenza che si affronta.
Per quanto riguarda le istituzioni, le dichiarazioni congiunte che spuntano dalle simboliche conferenze come quelle di Rio de Janeiro sullo Sviluppo Sostenibile (1992 e 2006) o quella di Parigi del 2015, non sono mai abbastanza per vincolare gli Stati a un impegno più concreto nella tutela dell’ambiente. Lo strumento giuridico più vicino sono stati i Protocolli di Kyoto del 1997, i quali, messi in discussione proprio dagli Stati Uniti sono destinati a rimanere nell’album dei ricordi. Nessun attore politico internazionale è più legittimato, più responsabile e più giuridicamente capace degli Stati al momento di assumersi l’impegno di salvare ciò che resta della nostra Casa Comune.
Infine, non si può parlare di Istituzioni né di Stati senza coinvolgere l’attore più vivo di tutti, l’individuo: lo stile di vita occidentale, in primis, mette a rischio la biodiversità e la tenuta dell’ambiente stesso. Se vogliamo fare sul serio, l’impronta ecologica lasciata da chi fonda la propria esistenza sul consumo sarà la prima cosa da mettere in discussione. Non si tratta di un trade-off tra sviluppo e arretratezza, ma toccherà ripensare il nostro modello di sviluppo e cedere sempre più spazio allo sviluppo sostenibile.
A solo Dodici anni di opportunità, arriva il momento di scegliere se continuare nell’indifferenza di questo percorso irresponsabile oppure salvare la nostra Casa Comune. E’ arrivato il momento di affrontare il discorso e far sì che moralità e interessi convergano nella concretezza dei fatti, altrimenti non ce ne sarà per nessuno…