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100 anni fa la battaglia finale di Vittorio Veneto

| 24 Ottobre 2018 | CULTURA

Esattamente 100 anni fa, il 24 ottobre 1918, ebbe inizio la battaglia di Vittorio Veneto che pose fine alla Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano sancendo la vittoria dell’Italia sull’impero Austro-Ungarico che in seguito alla sconfitta collassò su se stesso frantumandosi in numerosi Stati-nazione.

Vittorio Veneto fu la battaglia finale della Grande Guerra sul fronte italiano. Esattamente un anno dopo l’inizio della battaglia di Caporetto, gli italiani si ripresero la loro rivincita sugli invasori austro-ungarici che in seguito alla vittoria dell’autunno 1917 avevano occupato tutto il Friuli e parte del Veneto, costringendo la popolazione locale a subire espropriazioni e fame. Dopo la catastrofe di Caporetto, la linea del fronte si era stabilizzata lungo il corso del fiume Piave, nella pianura veneta, e sul massiccio del Monte Grappa, nel settore montuoso più a nord.

In realtà, i generali italiani si convinsero all’ultimo momento della necessità di sferrare un’offensiva per sconfiggere il nemico una volta per tutte. Armando Diaz, capo di Stato maggiore delle forze armate italiane subentrato al famigerato Luigi Cadorna dopo la battaglia di Caporetto, non era intenzionato a lanciare un’offensiva in grande stile all’inizio della cattiva stagione. Egli preferiva ingaggiare attacchi limitati, rinforzare le difese per l’inverno e preparare una grande offensiva per la primavera del 1919. Ma negli ultimi mesi la situazione generale del conflitto era cambiata radicalmente a favore degli Alleati. Lo slancio offensivo della Germania sul Fronte Occidentale venne definitivamente bloccato all’inizio di agosto. Su quel fronte gli americani erano finalmente arrivati in forze e ora potevano dare il loro contributo per il contrattacco decisivo. Nei mesi di agosto e settembre le offensive alleate sul Fronte Occidentale avevano fatto indietreggiare i tedeschi e in ottobre la loro situazione era disperata. Il morale era sotto i tacchi con decine di migliaia di soldati che disertavano. Nel frattempo, il 29 settembre la Bulgaria aveva firmato l’armistizio con gli Alleati mentre l’offensiva britannica in Palestina aveva sbaragliato le difese ottomane. Il 30 settembre i britannici e i ribelli arabi di Lawrence d’Arabia entrarono a Damasco mentre le truppe ottomane battevano in ritirata verso l’Anatolia.

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Lo schieramento degli Imperi Centrali si stava sgretolando sotto i colpi delle armate alleate, ma nel caso dell’impero Austro-Ungarico vi era un elemento che lo stava facendo collassare dall’interno senza che l’Italia o qualunque altra nazione alleata lo attaccasse militarmente. Il fronte interno stava esplodendo. In particolare, le diverse nazioni che componevano l’impero, specialmente quelle slave, chiedevano a gran voce l’indipendenza mentre l’esercito imperiale era allo sbando con migliaia di soldati che si ammutinavano o disertavano. Il 1918 fu un anno molto duro per l’Austria-Ungheria. Le elevate perdite umane subite in quattro anni di guerra, la crisi economica imposta dal blocco navale e di conseguenza la fame che aveva ucciso centinaia di migliaia di civili e la consapevolezza che una vittoria militare era impossibile, accrebbero l’ostilità delle nazioni dell’impero verso un sistema politico anacronistico che non voleva concedere loro l’indipendenza. Le tensioni sociali, economiche ed etniche si unirono in un connubio micidiale. Nell’ottobre 1918 l’impero Austro-Ungarico stava cadendo a pezzi. Il 14 di quel mese la Francia riconobbe il governo provvisorio cecoslovacco. Due giorni dopo l’imperatore Carlo I, in un ultimo disperato tentativo di salvare l’unità dello Stato, trasformò la parte austriaca dell’impero in una confederazione che riconosceva larga autonomia alle nazioni slave e a quella rumena. Ciò venne fatto in ottemperanza del decimo punto dei Quattordici teorizzati dal presidente americano Woodrow Wilson. Tuttavia, il segretario di Stato americano Robert Lansing rifiutò la proposta dell’imperatore Carlo. La totale indipendenza per le nazioni dell’Austria-Ungheria era l’unica proposta accettabile. Ciò ovviamente avrebbe comportato la fine del plurisecolare impero degli Asburgo.

In questo contesto caratterizzato dall’imminenza del collasso interno, l’offensiva alleata sul Piave rappresentò il colpo di grazia.  Già, perché Vittorio Veneto non fu un’impresa esclusivamente italiana. Due generali stranieri erano al comando di altrettante armate: il generale francese Jean César Graziani comandava la 12° mentre il britannico Lord Cavan guidava la 10°. Tuttavia, ciò non deve portarci ad esagerare il contributo straniero. Delle 57 divisioni alleate impegnate nella battaglia, ben 51 erano italiane.

I nostri comandi militari si resero conto che se non avessero attaccato al più presto, l’Austria-Ungheria avrebbe perso la guerra non a causa di una sconfitta militare, bensì per implosione. Doveva essere l’Italia a sferrare il colpo fatale all’Austria-Ungheria. La vittoria militare era necessaria per accreditare l’Italia al rango di potenza che aveva decretato la sconfitta di uno degli Imperi Centrali. Infliggere il colpo mortale al nemico era fondamentale in funzione della conferenza di pace che si sarebbe tenuta al termine della guerra. Presentandosi come la responsabile della sconfitta dell’Austria-Ungheria, l’Italia avrebbe avuto un potere negoziale maggiore.

Tuttavia, la battaglia di Vittorio Veneto non fu una passeggiata. Gli Alleati ebbero gli stessi problemi avuti dagli austro-ungarici durante la battaglia del Solstizio. Il corso d’acqua del Piave era ingrossato dalle copiose piogge autunnali e ciò rese la traversata difficile e rischiosa, mentre nel settore del Monte Grappa la resistenza austro-ungarica fu tenace. Dopo qualche giorno però la situazione si sbloccò in favore dei nostri. Il 28 e il 29 le teste di ponte sulla sponda sinistra furono consolidate e le difese in montagna infrante. Dopodiché le forze austro-ungariche crollarono e iniziarono a battere in ritirata, tanto che il 1° novembre i generali italiani e quelli austro-ungarici si incontrarono a Villa Giusti, in provincia di Padova, per definire i termini dell’armistizio. L’accordo venne raggiunto due giorni dopo e l’armistizio entrò in vigore il giorno seguente. Il 4 novembre 1918, con l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti, terminarono le ostilità sul fronte italiano. L’Austria-Ungheria era stata sconfitta. L’Italia aveva vinto la guerra al prezzo di circa un milione di morti, tra militari e civili.

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