
Continua imperterrito il dibattito attorno alla spinosa vicenda della legge finanziaria. I partiti della maggioranza di governo, in particolare i 5 Stelle, devono trovare la quadra per concretizzare, almeno in parte, le dispendiose promesse fatte in campagna elettorale. Nelle ultime settimane lo scontro tra i pentastellati e il Ministero dell’Economia si è fatto particolarmente acceso poiché i primi vorrebbero forzare la mano sul deficit per realizzare il famigerato reddito di cittadinanza mentre il secondo, conscio del precario stato di salute dei conti pubblici italiani, invita alla moderazione e al contenimento del rapporto tra entrate ed uscite. Lo scontro ha raggiunto il suo apice (per il momento) nei giorni scorsi quando Rocco Casalino, portavoce del presidente del consiglio Giuseppe Conte, ha offeso pesantemente i tecnici del ministero dell’economia in un messaggio audio che è stato fatto trapelare da La Repubblica. Un’uscita infelice a dir poco, per nulla professionale, per cui le dimissioni sarebbero state il minimo, ma non per l’autoproclamato governo del cambiamento.
Ad ogni modo, il ministro Luigi Di Maio continua la sua costante ricerca di un qualche punto di deficit in più, o quantomeno cerca di giustificare in qualsiasi modo la necessità di aumentare le voci di spesa nella legge di bilancio. Cercando un appiglio in ogni dove, a prescindere dalla solidità, Di Maio finisce inevitabilmente per dichiarare castronerie che non stanno né in cielo né in terra. Questo è esattamente quello che è successo appena due giorni fa. Il vice-premier pentastellato ha dichiarato in un tweet: “La Francia per finanziare la sua manovra farà un deficit del 2.8 % . Siamo un Paese sovrano esattamente come la Francia. I soldi ci sono e si possono finalmente spendere a favore dei cittadini. In Italia come in Francia”.
Non c’è bisogno di essere economisti per comprendere l’insensatezza di questa affermazione. Innanzitutto, che c’entrano la sovranità e la manovra finanziaria francese con quella del governo italiano? In secondo luogo, è palese che Francia ed Italia versano in una situazione economico-finanziaria troppo diversa per essere paragonata. Basta avere una conoscenza economica basilare per essere consapevoli di questa differenza determinante. Evidentemente, se la Francia inserisce un deficit del 2,8 % nella manovra è perché se lo può permettere. Infatti, ed è questo il punto principale, lo stato di salute delle finanze francesi non è precario come quello delle finanze nostrane. Per essere più chiari, il debito pubblico di Parigi è decisamente più basso di quello di Roma. Per la precisione, il debito francese è pari al 98 % del Pil mentre quello italiano ha raggiunto l’astronomico ed allarmante 132 %. Inoltre, la crescita economica in termini di Pil dei cugini d’Oltralpe è maggiore della nostra, sebbene di pochi punti decimali. Il connubio tra bassa crescita economica ed elevato debito pubblico fanno dell’Italia un paese a rischio instabilità finanziaria e per questo siamo costantemente sotto la lente d’ingrandimento di economisti, agenzie di rating ed organizzazioni internazionali. A dimostrazione del diverso stato di salute finanziaria tra Francia e Italia è utile osservare il dato dello Spread, ovvero il termometro che misura tale parametro. Il differenziale di rendimento decennale tra i titoli di stato francesi e quelli tedeschi segna 32 punti. Per quanto riguarda l’Italia invece il punteggio è 243. Non serve aggiungere altro.
L’insensatezza dell’affermazione di Di Maio è indiscutibile. A che servono dunque dichiarazioni di questo tipo se non a dimostrare apertamente la propria incompetenza in materia finanziaria? Che Di Maio voglia cercare di strappare qualche punto in più di deficit è comprensibile. D’altro canto il reddito di cittadinanza è stato il cavallo di battaglia della campagna elettorale dei 5 Stelle e non fare di tutto per cercare di concretizzarlo farebbe storcere il naso a una buona fetta dell’elettorato. Il capo politico del Movimento deve giustamente mostrare che sta facendo tutto il possibile per mettere in pratica ciò che aveva promesso in campagna, anche se è vero che il contratto di governo è stato pensato per essere realizzato nell’arco di una legislatura, almeno teoricamente, e non nel giro di sei mesi.
Tuttavia, ciò non toglie il fatto che il paragone con la Francia è totalmente privo di senso. Come evidenziato poco fa, Francia e Italia sono due paesi troppo diversi dal punto di vista finanziario per essere comparati. È fuori discussione per l’Italia avere un deficit del 2,8 % non tanto perché questo valore è quasi al limite del famoso tetto del 3 % ma perché il nostro debito elevatissimo non ci permette di eccedere. In poche parole, il deficit della manovra finanziaria deve essere contenuto a prescindere dai vincoli europei. Questo è un punto fondamentale che in parte mette a tacere chi critica l’Unione Europea perché la considera un’organizzazione tirannica buona solo di imporre regole ai paesi membri. Anche se i vincoli comunitari non esistessero affatto, l’Italia dovrebbe comunque limitare il rapporto entrate-uscite per via del suo esorbitante e potenzialmente destabilizzante debito.
Quindi, seguendo tale ragionamento, l’Italia appare un paese in trappola per via dei suoi conti sgangherati. Un aumento della spesa pubblica, a cui segue ovviamente un incremento del deficit, sarebbe auspicabile per rinvigorire un’economia che da venticinque anni a questa parte è stagnante. Gli investimenti pubblici sarebbero necessari anche, tra le tante altre cose, per affrontare la sempre più impellente questione sociale e per arginare il colossale divario Nord-Sud, il quale non può essere liquidato come semplice questione meridionale ma bensì nazionale.
Tuttavia, un aumento della spesa pubblica aumenterebbe il deficit e quindi il debito e quindi lo Spread e quindi la stabilità finanziaria del paese inizierebbe a vacillare con ripercussioni su risparmiatori ed economia reale. È qui che sta la trappola. Non si può sostenere la crescita economica attraverso gli investimenti pubblici perché ciò aumenterebbe troppo il debito. Quindi, quale futuro attende il nostro paese e i suoi giovani? L’Italia è destinata a vivere in un limbo in cui la stagnazione economica e la crescita delle disuguaglianze a livello sociale e territoriale sono le alternative più rosee a un tracollo finanziario? Per rispondere a queste complesse domande non basterebbe un libro intero, figuriamoci una manciata di righe. Per il momento rassicuriamoci del fatto che Di Maio non è il ministro dell’economia.