In occasione del 30mo anniversario del celebre slogan “Just Do It”, il colosso americano ha pubblicato un video celebrativo che ha destato molto scalpore. La causa? La presenza di un nuovo testimonial: l’ex quarterback dei San Francisco 49ers, Colin Kaepernick.
La Nike ha – nuovamente – stupito tutti: contro ogni pronostico, non solo ha recentemente prolungato il contratto di sponsorizzazione al celebre QB Colin Kaepernick, ma l’ha addirittura inserito al centro del suo ultimo spot pubblicitario. Kaepernick, già da anni superstar del football americano, si era trovato nell’occhio del ciclone da quando aveva deciso di inginocchiarsi durante l’inno nazionale, previsto prima di ogni partita di campionato. Con questo gesto, il suo scopo è quello di mettere alla luce le profonde ingiustizie sociali e la discriminazione razziale che ancora attanagliano il paese, sicuramente riportate in auge dopo le ultime elezioni.
Nonostante la protesta avesse trovato da subito l’appoggio e la solidarietà di molti, tra cui alcuni compagni di squadra, giocatori della lega e svariate personalità dal mondo dello sport, le conseguenze nei confronti del QB non si sono certo fatte attendere. I San Francisco 49ers avevano subito annunciato che non gli avrebbero rinnovato il contratto, in scadenza alla fine della “regular season” del 2016. La reazione della dirigenza della squadra aveva coinciso da subito con la linea attuata da tutte le altre compagini del campionato: Kaepernick, infatti, non ha più trovato squadra ed è tutt’ora svincolato.
Il suo gesto ha da subito attirato le ire del Presidente Trump e del suo entourage, i quali non hanno esitato a definirlo anti-patriottico e traditore della nazione.
Alla luce di questi avvenimenti, stupisce ancora di più la mossa mediatica della Nike, che ha deciso di mettere Kaepernick al centro dell’ultima importante campagna pubblicitaria. Nel video, di grande impatto emozionale è il momento nel quale il Quarterback viene inquadrato, mentre, in sottofondo, si sente recitare lo slogan “believe in something, even if it means sacrificing everything” (credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto il resto). Inutile descrivere l’effetto provocato dallo spot: già nelle prime ore dopo la pubblicazione ufficiale il video aveva registrato milioni di visualizzazioni. In moltissimi hanno criticato la Nike, muovendole più o meno le stesse accuse mosse a Kaepernick: a questo proposito, la rete è stata letteralmente invasa da video di gente intenta a bruciare o a liberarsi dei celebri indumenti “con il baffo”.
Per le ragioni sopraccitate, in molti hanno sostenuto che la mossa mediatica avrebbe finito con l’arrecare gravi danni economici alla Nike, in quanto comporta una presa di posizione molto netta, in totale rottura con la Casa Bianca e con la stessa NFL (National Football League, della quale Nike è sponsor principale). La controversa decisione è stata così motivata da Gino Fisanotti, vice-presidente del brand – sezione Nord America – che ha affermato: “Crediamo che Colin sia uno degli atleti più influenti della sua generazione, e ha utilizzato il potere dello sport per aiutare il mondo ad andare avanti. Volevamo dare ancora più forza al suo messaggio e introdurre lo slogan ‘Just Do It’ a una nuova generazione di atleti”.
Sulla vicenda, e soprattutto sul suo impatto economico, si è espresso anche Kenneth Shropshire, CEO del “Global Sport Institute”, che ha dichiarato: “Solo il tempo saprà dirci se questa è stata una mossa intelligente da parte della Nike, in un mercato così competitivo”, ha poi aggiunto: “Con compagnie come Adidas, che lottano per le stesse fette di mercato, l’impatto potrebbe non essere chiaro nell’immediato”.
Chi da questa campagna ha ottenuto gli effetti sperati, è certamente Colin Kaepernick: egli ha infatti saputo sfruttare l’influenza del marchio Nike per aumentare esponenzialmente il bacino di ricettori per il suo messaggio. Ciononostante, scegliere la multinazionale Nike, già al centro di numerosi scandali riguardanti lo sfruttamento di minori in più continenti, come veicolo per lanciare un messaggio a favore della giustizia sociale, potrebbe non apparire una scelta eticamente valida. Insomma, il contenuto è nobile, il modus operandi, forse, un po’ meno.