Più di qualche appassionato di calcio ricorderà l’atmosfera susseguente alla clamorosa mancata qualificazione della Nazionale Italiana ai campionati mondiali poi disputatisi in terra russa. La disfatta è maturata al termine di una partita da incubo, disputata in una fredda serata di novembre in uno Stadio Meazza stracolmo di tifosi, al pari di milioni di telespettatori letteralmente sgomenti di fronte all’evidente incapacità degli azzurri di ribaltare lo 0-1 rimediato nella gara di andata dai marcantoni svedesi (con tutto il rispetto tutt’altro che assimilabili ai mitici calciatori brasiliani pentacampioni mondiali se non per la comune componente cromatica delle rispettive divise di gioco).
Interrogazioni parlamentari, dichiarazioni al fulmicotone da parte di addetti ai lavori e non, addirittura minacce ad alcuni giocatori e soprattutto al Commissario Tecnico, unanimemente individuato quale unico responsabile del disastro sportivo e da qualche buontempone anche rinominato “Mister (S)Ventura”. I più avveduti e cauti si limitavano ad ipotizzare che fosse arrivato l’anno zero per lo sport più popolare dell’italico stivale e che si dovesse procedere una volta per tutte ad una profonda rivoluzione della struttura non solo da un punto di vista tecnico ma anche e soprattutto organizzativo ed amministrativo.
Le paradossali e per certi versi pirandelliane vicende estive culminate nell’improvvida sentenza emessa l’11 Settembre dal Collegio di Garanzia del CONI se da un lato rischiano di creare davvero un effetto Ground Zero nel mondo del football tricolore dall’altro confermano, se mai ce ne fosse bisogno, come spesso i pessimi risultati sportivi discendano anche in buona misura dall’incapacità, dalla mala fede e dalla confusione mentale di coloro che, con una certa prosopopea ed un certo grado di autoreferenzialità, vengono chiamati a ricoprire a vario titolo cariche apicali della Federazione Italiana Gioco Calcio e per estensione anche del Comitato Olimpico Nazionale (cui le varie Federazioni sportive fanno comunque riferimento).
Debita premessa: da sempre l’ordinamento sportivo decanta la propria formale indipendenza dagli ordinamenti giuridici nazionali e che si traduce nella famosa clausola compromissoria (o vincolo di giustizia sportiva) che impedisce agli associati, persone fisiche o giuridiche, di adire gli Organi Giudiziari Ordinari per tutte le controversie inerenti l’attività sportiva, pena l’immediata ed inappellabile esclusione dai quadri federali.
Ciò presupporrebbe che sussistano regolamenti chiari e precisi, organi di controllo e di giustizia efficienti e realmente indipendenti da qualsiasi centro di potere politico o peggio espressione di macro interessi economici e come tali dai medesimi non influenzabili o peggio ricattabili.
All’indomani della Caporetto svedese, opinione comune fu che la prima imprescindibile mossa fosse il siluramento dell’allora presidente della FIGC Tavecchio. Certo, non si può dire che il Nostro durante il proprio mandato si fosse distinto per iniziative istituzionali innovative ed epocali, viceversa incappando in clamorose cadute di stile al limite dell’autogol (tanto per rimanere in tema), allorquando consegnò agli organi di stampa discutibili dichiarazioni velatamente razziste (nei confronti dei giocatori di colore) e sessiste (sottovalutando la valenza e l’importanza del calcio femminile tanto a livello di club quanto di rappresentative nazionali).
Dopo un disperato tentativo di arroccarsi sulle proprie posizioni, il Tavecchio è stato italicamente “dimissionato” dalla carica, ma ciò non ha prodotto altro effetto che il classico nascondere la polvere sotto il tappeto dato che i veri mali del calcio italiano non potevano certo ed unicamente dipendere dalla Sua impalpabile figura ma semmai originatisi in più antica data e col tempo divenuti vere e proprie metastasi in rapida diffusione.
A mero titolo di esempio vale la pena ricordare il caso del Parma Calcio, cui venne concessa l’iscrizione nel massimo campionato nonostante anche i sassi fossero a conoscenza delle disastrate condizioni economiche del club; il successivo default e l’esclusione dal torneo prima della sua naturale conclusione costituisce un precedente che ha letteralmente squarciato il velo che da tempo copriva l’incapacità e/o mancanza di volontà da parte degli Organi di Controllo a verificare con serietà i bilanci societari ed a certificare la reale possibilità dei vari club a sostenere i gravosissimi oneri di partecipazione ai campionati nazionali.
Data la persistente incapacità da parte delle tre Leghe professionistiche nazionali di convergere su un unico nominativo quale nuovo Presidente della Federazione Calcio, su iniziativa del CONI e del suo dux maximus Malagò venne allora nominato un Commissario Straordinario nella persona di Roberto Fabbricini: nulla da dire sul curriculum personale, vero uomo di sport praticato sul campo ed in seguito titolare di vari incarichi istituzionali tanto in federazioni sportive quanto in seno al medesimo Comitato Olimpico (tra l’altro ricoprendo il ruolo di Capo Delegazione della rappresentativa nazionale in ben cinque edizioni di Olimpiadi).
La circostanza di non discendere la propria carica da alcuna cordata societaria e di non dovere pertanto prosaiche riconoscenze o implicite sottomissioni nei riguardi soprattutto dei club più ricchi e potenti sulla carta avrebbe dovuto favorire da parte del Commissario un’attività di riorganizzazione più incisiva e profonda; viceversa il medesimo è caduto nella trappola susseguente al fallimento estivo di ben tre Società del campionato di Serie B, tra l’altro tra le più blasonate per pregressa storia sportiva.
A prescindere dalla banale considerazione che nessun crac economico può prodursi istantaneamente (quindi replay del caso Parma) ed essendo il campionato cadetto organizzato con 22 squadre partecipanti, si poneva la necessità della sostituzione con altrettanti club da ripescare sulla scorta di criteri e norme scritte, accettate ed osservate da tempo da tutte le componenti federali.
Si giunge così alla fine del mese di Luglio, quando in via ufficiosa venivano indicate le squadre che avrebbero sostituito quelle fallite, tutte piazze altrettanto nobili con tifosi in delirio, corpose fideiussioni prestate a garanzia dell’iscrizione al campionato superiore in aggiunta a quelle già fornite per il torneo di serie inferiore. A questo punto il colpo di scena: la Lega di serie B all’unanimità delibera di trasformare con effetto immediato il format con riduzione del numero delle Società partecipanti da 22 a 19!
Alcun dubbio sussiste circa le reali motivazioni di tale ribaltone: essendo già stati aggiudicati i diritti televisivi appare ovvio che la quota parte spettante ad ogni squadra è di gran lunga maggiore se si riduce sensibilmente il numero delle partecipanti; peccato che le norme federali recitino chiaramente che “qualsivoglia cambiamento del format dei campionati possa diventare operativo non prima del secondo anno agonistico successivo a quello in cui venga assunta la relativa determinazione” .
La patata bollente è pertanto passata nelle tremanti mani del Commissario Straordinario che, invece di assolvere al più elementare dei suoi doveri d’ufficio vale a dire garantire l’applicazione e l’osservanza delle norme federali, ha di fatto ceduto alla Ragion di Stato dettata dalla Lega di Serie B (che neppure troppo velatamente aveva minacciato di bloccare il regolare inizio del torneo) confermando con proprio provvedimento del 13 Agosto la delibera di trasformazione del relativo format: come dire, la violazione delle norme è giustificabile dinanzi all’unanimità delle volontà dei trasgressori.
Il conseguente caos mediatico e la pioggia dei prevedibili reclami da parte delle Società escluse dai ripescaggi hanno prodotto non solo incertezza sullo svolgimento del torneo cadetto ma di fatto paralizzato anche la redazione dei calendari delle serie minori a partire proprio dalla serie C, dato l’impossibilità di stabilire – a priori e con sicurezza – l’inserimento delle società reclamanti ovvero l’adozione dei ripescaggi necessari per la loro eventuale sostituzione.
Considerati i tempi strettissimi e l’estrema delicatezza della questione ci si sarebbe aspettata da parte delle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia istituito presso il C.O.N.I. (come dire la Corte Costituzionale dello sport italiano) massima tempestività nella fissazione della data dell’udienza per la trattazione e la decisione dei ricorsi anziché il rinvio al 7 Settembre, a maggior ragione perché ai più appariva molto probabile che un simile ed autorevole organo di legittimità giuridica avrebbe senz’altro ristabilito la certezza del Diritto Sportivo annullando la pilatesca e sciagurata determinazione del Commissario Straordinario.
Come sia andata in realtà è sotto gli occhi di tutti: dopo vari ed inspiegabili giorni di attesa il Collegio di Garanzia ha praticamente deciso di non decidere, rigettando i ricorsi delle società ripescabili per inammissibilità o improcedibilità e senza entrare nel preciso merito della questione; in attesa del deposito delle motivazioni, suonano davvero come una beffa per le Società dirette interessate le dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa dal Presidente del Collegio Franco Frattini che, da buon ex politico, si è subito premurato di sottolineare come la decisione fosse stata assunta con voti favorevoli di tre componenti su cinque e che uno dei voti contrari fosse proprio il Suo.
L’ineffabile ma evidentemente inascoltato Presidente ha altresì precisato che “i club i cui ricorsi non sono stati accolti potranno senz’altro riproporre le medesime contestazioni dinanzi al Tribunale Federale della F.I.G.C.” : come dire, se il CONI non ha avuto il coraggio di sconfessare l’operato di un Commissario Straordinario di propria diretta nomina non v’è dubbio che lo faccia un Tribunale della Federazione Calcio di cui il medesimo è Presidente ad interim.
Non c’è che dire, davvero una vita da CONI.