Stati Uniti ed Iran sono avversari. Washington considera Teheran una minaccia alla propria sicurezza nazionale ed un ostacolo alla salvaguardia dei propri interessi in Medio Oriente e viceversa. L’odio profondo che lega americani ed iraniani non è altro che una facciata sotto la quale si celano profonde divergenze di carattere strategico e geopolitico. In poche parole, gli interessi americani ed iraniani in Medio Oriente collidono.
In questa regione gli americani vogliono tenere un equilibrio di potenza tra i quattro attori principali (Iran, Israele, Arabia Saudita, Turchia) così da poter mantenere l’egemonia, garantire la sicurezza delle truppe ivi dislocate ed avere accesso alle fonti energetiche. Gli iraniani, dal canto loro, memori del fatto che le minacce alla sicurezza nazionale sono sempre venute dall’esterno, come nel caso della guerra del 1980-88 con l’Iraq, vogliono controllare l’intorno regionale per garantire la propria sicurezza. Ciò però comporterebbe uno squilibrio di forza tra le potenze regionali e questo non è accettabile per gli americani. In breve, gli Stati Uniti non possono tollerare che in una regione fondamentale come il Medio Oriente una nazione diventi egemone al posto loro. In virtù del loro ruolo di superpotenza globale, il cui carattere imperiale in Medio Oriente è dimostrato dalla forte cooperazione ed alleanza con due potenze regionali (Arabia Saudita ed Israele) e dalla presenza di numerose truppe ed infrastrutture militari (in Bahrein si trova la base della V Flotta della Marina americana), gli Stati Uniti devono mantenere l’egemonia nella regione, assicurandosi un equilibrio di potenza tra i quattro attori principali.
Effettivamente, negli ultimi 15 anni l’Iran ha progressivamente creato una sfera d’influenza che da Teheran giunge a Beirut, in Libano, passando per Baghdad e Damasco, collegando l’altopiano iranico al Mediterraneo orientale. Paradossalmente, con riguardo all’Iraq, ciò è potuto avvenire per (de)merito degli americani. La guerra del 2003 decisa dal presidente George W. Bush ha deposto in breve tempo il dittatore Saddam Hussein che era fortemente ostile all’Iran. Il caos seguente alla vittoria americana, i fallimentari tentativi di “esportare” la democrazia e il prematuro ritiro delle truppe a stelle e strisce deciso dal presidente Obama nel 2011 hanno lasciato l’Iraq preda dell’instabilità, del settarismo e della lotta tra milizie armate. Questo contesto di fragilità e precarietà ereditato dall’intervento militare americano ha creato le basi per un accrescimento dell’influenza straniera in Iraq ed è stato proprio l’Iran ad imporre la propria influenza economica, politica e religiosa su Baghdad, facendo leva sul fatto che la maggioranza della popolazione irachena è sciita e grazie al fatto che Iraq ed Iran confinano. Per quanto riguarda la Siria, Teheran ha speso denaro, uomini ed equipaggiamenti per sostenere (e salvare) il governo sciita del presidente Bashar Al-Asad nella guerra civile, ma in questo paese l’Iran deve fare i conti con la presenza e l’influenza dei russi. Infine, il Libano è da decenni asset consolidato della strategia iraniana. Nel paese dei cedri Teheran può contare sulla presenza del partito-milizia sciita e filo-iraniano Hezbollah.
Dunque negli ultimi anni l’Iran è riuscito a crearsi una sfera d’influenza in Medio Oriente, seppur fragile e variabile a seconda dei casi. L’Arabia Saudita, che soffre di un’autentica iranofobia, e gli Emirati Arabi Uniti considerano quest’area d’influenza un asse imperiale su cui Teheran vuole poggiare la propria egemonia e rifondare una sorta di impero persiano. Sauditi ed emiratini sarebbero ben felici di vedere gli Stati Uniti a capo di una coalizione militare anti-iraniana. Pure Israele considera l’Iran una minaccia alla sicurezza nazionale, principalmente a causa dell’accresciuta presenza militare iraniana in Siria. Infine, per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi percepiscono la sfera d’influenza iraniana come una minaccia alla loro egemonia regionale e sono intenzionati a limitarla. Washington si trova sulla stessa barca insieme ad Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ciò significa che nel recente futuro assisteremo a una guerra tra Iran e Stati Uniti, questi ultimi a capo di una coalizione eterogenea di paesi mediorientali? Difficile a dirsi ma molto probabilmente no. Una guerra contro l’Iran sarebbe molto dispendiosa per gli Stati Uniti siccome con buona probabilità non si tratterebbe di un conflitto breve. Inoltre, aspetto non secondario, bisogna tenere in considerazione la reazione della Russia, alleata dell’Iran in Siria. Di certo i russi non se ne starebbero con le mani in mano a guardare un loro alleato regionale che viene attaccato dalla prima potenza militare del pianeta. Ma nemmeno gli iraniani vogliono la guerra. A Teheran sono ben consapevoli del fatto che le loro forze armate sono inferiori per numero e tecnologia non solo, ovviamente, a quelle americane, ma anche a quelle degli Stati del Golfo e di Israele. Gli equipaggiamenti e i veicoli militari iraniani, soprattutto quelli dell’aeronautica, sono vecchi di decenni.
Al momento, per contenere l’Iran, gli Stati Uniti prediligono la strategia della guerra economica attraverso le sanzioni. Per questo il presidente Trump ha deciso di ritirarsi unilateralmente dal Joint Comprehensive Plan Of Action (Jcpoa), colloquialmente noto come accordo sul nucleare iraniano del 2015, vanificando così il maggior successo diplomatico di Obama. Dichiarando carta straccia l’accordo del 2015, Trump è tornato ad aumentare la pressione economica sull’Iran, imponendo nuovamente le sanzioni. Infatti, il Jcpoa prevedeva la cancellazione di alcune sanzioni all’Iran. L’alleggerimento del regime sanzionatorio permise all’economia del paese di aprirsi verso il resto del mondo. Una boccata d’aria fresca che aumentò il flusso di investimenti esteri e le esportazioni di petrolio. Il Jcpoa quindi galvanizzò l’economia iraniana, fortemente provata dalle sanzioni economiche.
Anche in questo ambito Trump dimostra una forte discontinuità rispetto ad Obama. Quest’ultimo volle tenere sotto controllo l’Iran portandolo al tavolo delle trattative mentre Trump vuole controllare la condotta iraniana imponendo nuove restrizioni economiche e così facendo limitarne le capacità materiali e finanziarie di consolidare la propria sfera d’influenza. Inoltre, l’amministrazione americana spera di aumentare il malcontento popolare nei confronti della Repubblica Islamica, già palesatosi con le manifestazioni avvenute a fine 2017 e magari innescare una rivolta che porti a un cambio di regime. In effetti, durante le manifestazioni dello scorso anno, la popolazione iraniana ha espresso la sua contrarietà per i notevoli sforzi finanziari fatti in Siria ed Iraq, perché quelle risorse potevano essere impiegate in patria per risanare l’economia e dare prospettive ai giovani, i quali soffrono di un’alta disoccupazione.
L’Iran è una delle quattro potenze del Medio Oriente e rappresenta una minaccia all’egemonia americana. La rivalità tra Stati Uniti ed Iran è una delle cause della perenne instabilità della regione. Se tale rivalità non verrà controllata potrebbe sfociare in una delle più grandi e sanguinose guerre del Medio Oriente, in quanto vedrebbe la partecipazione delle maggiori potenze regionali e non solo.