Molti millantano la validità del nostro sistema, fra integralisti costituzionalisti, guardiani dello Status Quo e campanilisti: per costoro sembra che la responsabilità del crollo del sistema Italia sia sempre solo da attribuire alla contingente classe politica inetta; mai al sistema Italia nato dalle ceneri della guerra.
Ma quando la contingente classe politica inetta si rivela essere in realtà una costante più che una contingenza, siamo davvero sicuri che il problema sia circoscritto ai singoli politici e non a un sistematico errore di fondo?
Due paradigmi molto importanti cercano di spiegare questo argomento: secondo alcuni il problema è tutta responsabilità dei politici, secondo altri il problema è tutta responsabilità della mentalità italiana, ergo degli elettori.
Supportare il paradigma secondo cui la colpa sia solo degli italiani scredita de facto l’intero pensiero democratico basato sull’assunto che il popolo abbia la maturità per scegliersi i governanti e inoltre si marca di una discreta dose di auto-razzismo. L’altro paradigma invece attribuisce la responsabilità dell’ormai conclamato inefficiente sistema Italia a una classe politica inetta.
Ma questi politici chi li ha eletti? E perché continuano ad essere eletti dal ‘48 ad oggi?
Il sistema democratico prevede le elezioni proprio per punire una classe politica inetta a favore di un’altra più competente, ma in Italia questo ricircolo sembra non avvenire, vanificando il senso stesso della democrazia.
Se la responsabilità non è solo degli elettori ma non è neanche solo degli eletti, allora dov’è l’inghippo? Essa risiede proprio nel “sistema” istituzionale, cioè quella serie di regole che disciplinano il funzionamento delle istituzioni e quindi regolano il rapporto che intercorre tra governanti e governati.
Sono gli istituti preposti a regolare il rapporto fra eletti ed elettori che hanno totalmente fallito nell’assicurare un sano rapporto di interdipendenza fra le due sfere del potere pubblico.
E qual è la madre di tutte le regole del nostro ordinamento se non il Sacro Vangelo Laico, cioè la Costituzione?
Ma come possono delle riforme sovrastrutturali modificare la struttura stessa del sistema istituzionale? Solitamente queste riforme funzionano solo per la durata del governo che le ha proposte (che in Italia ha una media di una manciata di anni).
Siamo ormai soliti vedere riforme elettorali, dell’istruzione e del sistema tributario a ogni legislatura, le quali molto volentieri remano in senso opposto a quella precedente.
Un sistema funzionante non può pretendere la buona volontà o l’onestà del singolo: non ci si può basare sulla magnanimità dell’elettore o sull’incorruttibilità dell’amministratore.
Un sistema ben funzionante non si basa sulla fortuna o sul caso, sulla speranza che la gente scelga bene o sulla speranza che il politico scelga di non rubare. Un buon sistema regge anche in caso di extraordinarietà.
I tedeschi, gli svizzeri, i francesi o gli olandesi, non sono più onesti geneticamente: vengono inseriti in un sistema che regola i rapporti di potere ben funzionante. Le classi politiche europee non sono più competenti delle nostre, sanno che se non portano un risultato entro i tempi stabiliti vanno automaticamente a casa. La differenza è quindi tutta nel sistema istituzionale che poi forma, col passare delle generazioni, una mentalità civica.
La differenza di resa fra gli italiani in Italia e gli italiani emigrati all’estero è esplicativa: il potenziale sprigionato fuori dal Bel Paese non è neanche lontanamente equiparabile a quello ottenuto nella madre patria.
Ergo, non esiste decreto legge, non esiste salvatore e non esiste una utopica presa di coscienza di massa che possa salvare l’Italia.
Adesso che la guerra è finita, lo scenario internazionale è totalmente diverso, il fascismo è lontano e le nostre vite sono del tutto differenti da quelle lacerate dalla grande guerra, cosa ci impedisce di riscrivere il nostro contratto sociale e passare realmente alla Seconda Repubblica?
Utopia? I vicini d’oltralpe sono già alla Quinta.