
I rapporti tra Turchia e USA non sono mai stati così tesi. L’ultima velata minaccia è stata lanciata dal premier turco Erdogan che, in un editoriale pubblicato sul New York Times, ha affermato che la partnership fra i due paesi è in pericolo e che Washington deve rinunciare all’idea che la relazione possa essere asimmetrica, concludendo che la Turchia ha delle alternative, altri alleati e amici.
L’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso sono i nuovi dazi imposti alla Turchia da parte degli USA, i cui motivi sono da cercarsi nell’ambito religioso e principalmente in due figure: l’imam turco Fethullah Gulen ed il pastore evangelico americano Andrew Brunson. Gulen, che vive dal 1999 in autoesilio in Pennsylvania, è considerato da Erdogan la mente dietro al tentato golpe del 2016. Vista la mancanza di prove, gli Stati Uniti non hanno mai accettato di estradare l’imam (il quale si è sempre professato innocente) e che sarebbe certamente condannato a morte in Turchia. Brunson è un pastore evangelico, residente ad Izmir ed in Turchia da 23 anni arrestato all’indomani del golpe con l’accusa di spionaggio. Le accuse a lui rivolte sono state definite da molti come una farsa. Tutto ciò ha molto irritato Trump e la sua amministrazione, poiché i cristiani evangelici sono uno dei punti forti del suo elettorato e poiché la sua popolarità all’interno di quel gruppo si sta abbassando. La proposta di scambio fra i due prigionieri avanzata da Erdogan è presto naufragata, con Washington che ha dapprima imposto sanzioni contro due alti ufficiali del governo di Ankara coinvolti con l’imprigionamento di Brunson, per poi raddoppiare i dazi contro la Turchia facendo crollare la lira turca (-15% nei confronti di dollaro ed euro in sole 24 ore e conseguente paralisi dei mercati). Altri motivi di tensione fra i due paesi sono il sostegno statunitense alle milizie curdo siriane del Pyd e del Ypg, considerati da Ankara come rami terroristici del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Secondo Erdogan, che cita stime delle autorità turche, negli ultimi anni gli USA avrebbero usato 5000 camion e 2000 aerei da cargo per consegnare armi ai gruppi ribelli e la sempre presente vicinanza turca alla Russia (indicata da molti come uno dei nuovi alleati e amici citati da Erdogan).
“Un prete in cambio di un alleato NATO. E’ una vergogna!”. Con questa affermazione la portata della minaccia lanciata da Erdogan è ben chiara, ossia l’uscita da parte della Turchia dalla NATO. Se ciò accadesse, sarebbe certamente un duro colpo per l’Alleanza Atlantica, data la posizione strategica della Turchia fra Russia, Iraq, Iran e Siria. Per ora lo scontro riguarda solo Turchia e Stati Uniti, ma Ankara potrebbe arrivare a chiedere il supporto dell’UE, con la quale ha firmato un accordo che prevede un controllo dei flussi migratori dietro remunerazione di 3 miliardi. Se ciò accadesse, sarebbe interessante vedere la risposta dell’UE, i cui paesi membri recentemente erano stati criticati proprio da Trump per quanto riguardava il budget da dedicare alla NATO. La situazione sarebbe critica per l’UE: difendere le ragioni turche per evitare un peggioramento della questione migranti, andando però contro Trump, il quale potrebbe a sua volta imporre dazi ancora più pesanti; oppure schierarsi dalla parte dello storico alleato transatlantico, col rischio di aprire una breccia nella NATO? Aldilà di futuri scenari più o meno possibili, questa situazione testimonia come la Turchia sia passata da un paese sotto l’influenza (politica) di USA ed Unione Europea ad un partner strategico de facto.
Attendendo lo sviluppo della vicenda, vi sono altre domande da porsi: le minacce di Erdogan sono veritiere? In caso di un peggioramento della crisi economica turca, queste minacce persisterebbero? Per far fronte alla crisi, Il Sultano ha chiamato a raccolta i patrioti turchi chiedendo a chi fosse in possesso di valute estere di venderle per comprare la lira turca. Sarà interessante vedere come si svilupperà questa crisi economica e se ciò andrà a discapito del presidente turco, o se rafforzerà ancora una volta la sua immagine agli occhi del popolo.