
Marchio di fabbrica dell’Unità d’Italia, esempio prediletto del danno che essa avrebbe arrecato al Mezzogiorno, il divario Nord-Sud è una mastodontica palla al piede che da 157 anni a questa parte impedisce all’Italia di crescere al massimo del suo potenziale. In effetti, il divario esisteva già prima dell’Unità ma era poca cosa rispetto alla situazione odierna. Esso ha cominciato ad ampliarsi proprio a partire dal 1861.
Ora, in questa sede non si discuteranno le cause e le conseguenze prodotte dalla questione meridionale. Montagne di libri di ogni colore storico-politico sono state scritte e verranno scritte in merito. Cercare di riassumere la questione in poche parole sarebbe, oltre che impossibile, pure confusionario. Qui si vuole dare consapevolezza di un fatto allarmante a dir poco, ovvero la totale assenza della questione meridionale (e dei rimedi per risolverla) nel dibattito politico e giornalistico.
È noto che il divario Nord-Sud ha assunto dimensioni allarmanti, ma per avere un’immagine più completa della gravità della questione meridionale bisogna adottare un approccio comparativo. Il fatto che in un paese esistano divari tra le regioni non è di per sé un fattore allarmante, anzi è normale che sia così. Molti paesi europei simili all’Italia presentano gap interni. È il caso per esempio della Spagna dove Catalogna e Paesi Baschi sono più avanzate rispetto all’Andalusia. In Germania le aree che appartenevano alla Ddr sono meno sviluppate rispetto al resto del paese mentre nel Regno Unito è presente un divario tra Londra e le aree rurali, specialmente il nord dell’Inghilterra, un tempo locomotiva della rivoluzione industriale ma che oggi registra tassi di disoccupazione maggiori rispetto al sud del paese.
Gli esempi potrebbero continuare ma il punto è che in ognuno di questi paesi il divario interno non assume nemmeno lontanamente le dimensioni di quello italiano. Prendiamo come esempio due dati: il pil pro capite e il tasso di disoccupazione. Nel 2017 tutte le regioni del Centro-Nord (Umbria esclusa) avevano un pil pro capite superiore alla media nazionale mentre tutte le regioni del Mezzogiorno erano sotto tale media. Per quanto riguarda la disoccupazione, si passa dal 6,3 % del Veneto al 21,6 % della Calabria, dal 6,4 % della Lombardia al 21,5 % della Sicilia, dal 6,5 % dell’Emilia-Romagna al 20,9 % della Campania. Si potrebbe scrivere almeno un libro elencando i dati che dimostrano l’enormità del divario tra Settentrione e Mezzogiorno, che riguarda anche aspetti demografici e sociali non solo economici, quindi meglio fermarsi qui.
Dunque, logica vorrebbe che la classe politica si adoperasse in ogni modo per risolvere un problema così grave che, attenzione, riguarda tutta la nazione e non solo il Sud. Già, perché credere che l’Italia possa essere trainata da una manciata di regioni “virtuose” appartenenti alla catena del valore tedesca è da allocchi. Il Sud potrebbe e dovrebbe essere un mercato per la ricchezza prodotta al Nord e dovrebbe sfruttare la propria posizione strategica nel mezzo del mar Mediterraneo per inserirsi nei traffici marittimi che lo attraversano, per non parlare del potenziale turistico. Un paese non potrà mai crescere al pieno delle sue potenzialità se è trainato solo da un frazione di esso. I divari interni alla lunga danneggiano tutta l’Italia e non solo le regioni che ne sono affette.
Tuttavia, ciò che più di ogni altra cosa scandalizza è l’inerzia della classe dirigente che negli ultimi anni ha fatto ben poco per ridurre il divario tra Nord e Mezzogiorno e soprattutto non ha mai preso provvedimenti consoni alla gravità della situazione. Infatti, la scorsa legislatura ha fatto registrare il più basso livello di sempre per quanto riguarda la spesa pubblica in conto capitale destinata al Sud (0,8 % del Pil). La situazione del Mezzogiorno è straordinaria e perciò necessiterebbe di un (altro) intervento straordinario. Tuttavia, l’elevatissimo debito pubblico unito ai vincoli di spesa comunitari rendono questa opzione impraticabile.
La classe politica pare quindi essersi rassegnata ad accettare il carattere strutturale del divario. Una realtà storica ineluttabile ed immodificabile. Ieri era così, oggi è così, domani sarà così. Allo stesso modo l’opinione pubblica ignora il carattere eccezionale della questione meridionale, ovvero le sue dimensioni e i suoi caratteri principali, che hanno reso il Mezzogiorno la più grande area sottosviluppata dell’Europa occidentale.
La nostra classe dirigente, schiava del consenso elettorale, sa meglio di chiunque altro che il divario Nord-Sud è una delle questioni più spinose e complicate di tutte. Quindi, il tentativo di risolverla si potrebbe concludere in un fallimento, e se anche fosse un successo i risultati positivi non si paleserebbero immediatamente. In sostanza, dal punto di vista meramente elettorale, tentare di porre una soluzione alla questione meridionale è un’operazione molto rischiosa che potrebbe causare una grave emorragia di consensi.
La questione meridionale dovrebbe essere questione nazionale, ovvero dovrebbe essere un tema al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e la classe dirigente dovrebbe metterla ai primi posti della propria agenda, come logica vorrebbe. Invece avviene tutto il contrario. I politici (intesi come esponenti di spicco di partiti, parlamento e governo) inseguono a suon di slogan, tweet e dirette Facebook i temi che portano più voti mentre l’opinione pubblica non ha consapevolezza di quanto la situazione sia grave e perciò necessiti di interventi governativi.
Nel frattempo, il divario continua ad ampliarsi, il Sud viene abbandonato a se stesso e le premesse per la sua trasformazione in deserto industriale-demografico vanno concretizzandosi, e così facendo trascina con sé l’Italia intera nell’oblio.