Da quando il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato la sua apertura alla Russia, in alcuni ambienti del giornalismo italiano è scoppiata una sorta di russofobia che ha portato a buttare in un unico pentolone populisti, nazionalisti, sovranisti, euroscettici e sostenitori dell’apertura alla Russia, quest’ultimi definiti filoputiniani. Praticamente tutti i più acerrimi nemici dell’ordine europeo precostituito.
In altre parole, se una persona è favorevole al ristabilimento dei rapporti con la Russia , è automaticamente un populista euroscettico e viceversa. O ancora, se una persona è favorevole alla rimozione delle sanzioni alla Russia allora è un sabotatore che vuole distruggere dall’interno l’Alleanza Atlantica. Tuttavia, il nesso che collegherebbe euroscetticismo e anti-atlantismo al fatto di tenere una posizione favorevole nei confronti della Russia non è chiaro.
In sostanza, i fautori della normalizzazione dei rapporti con la Russia sarebbero assimilabili per pericolosità ai populisti, agli euroscettici e ai reazionari. Perché vogliono far crollare la Nato, che è uno dei “pilastri fondamentali” della politica estera dell’Italia repubblicana, da sempre. Essi sarebbero vittima di una “fascinazione” verso la Russia, come se fossero stati folgorati sulla via di Damasco, ma con Putin al posto di Cristo. Infatti, chi vuole normalizzare le relazioni economico-diplomatiche con la Russia sarebbe inevitabilmente un filoputiniano, e quindi ancora più pericoloso perché ammira un leader autoritario. Anche in questo caso il nesso logico non è chiaro.
Tutta questa serie di assunzioni e nessi consequenziali è, ovviamente, priva di fondamento logico. Essa potrebbe riflettere la paura (infondata) di essere sotto stato di assedio, con l’autoritarismo alle porte e con le istituzioni fondamentali dell’ordine europeo sul punto di crollare a causa della minaccia russa. Oppure, molto più semplicemente, si tratta di un altro, ridicolo pretesto per gettare fango sul nuovo governo. In effetti, quando l’inquilino di Palazzo Chigi era qualcun altro, che pure era favorevole alla rimozione delle sanzioni contro la Russia, non si faceva così tanto baccano. Oggi invece, che il governo è cambiato, si parla di filoputiniani vittime di una fascinazione.
Essere favorevoli alla riapertura dei canali di dialogo con Mosca non significa essere euroscettici, né filoputiniani, né antidemocratici. Condividere questa posizione significa avere buonsenso ed avere a cuore gli interessi economici nazionali, perché con l’attuale regime sanzionatorio l’Italia ha perso e sta continuando a perdere miliardi di euro in scambi commerciali con la Russia. Inoltre, Mosca è uno dei principali partner commerciali dell’Unione Europea, nonché suo vicino di casa, quindi mantenere buone relazioni diplomatiche è categorico. La Russia è anche la seconda potenza militare del pianeta ed è tornata a rivestire un ruolo da superpotenza dal punto di vista geopolitico. Altri buoni motivi per riportare sulla retta via i rapporti col Cremlino.
Tuttavia, con ogni probabilità, l’auspicio del premier Conte non si realizzerà. E ammesso che si realizzasse, avverrebbe al costo dell’isolamento dell’Italia all’interno dell’Unione Europea e della Nato, mentre i rapporti bilaterali con Stati Uniti e Regno Unito andrebbero fortemente in crisi. Insomma, al governo non conviene impuntarsi sulla tanto auspicabile rimozione delle sanzioni alla Russia, perché avrebbe molto più da perdere che da guadagnare. L’Italia verrebbe ricattata da Washington e non gli verrebbe permesso in alcun modo di incrinare l’unità dell’Alleanza Atlantica, una debolezza auto-inflitta che sul piano geopolitico avvantaggerebbe il Cremlino.
Il congresso americano, la Nato (che ha approfittato della crisi con la Russia per militarizzare i suoi confini orientali), la Commissione Europea e il Regno Unito sono totalmente contrari a una normalizzazione dei rapporti con Mosca e benché a parole si dicano favorevoli al dialogo, concretamente non fanno nulla. Negli ultimi quattro anni si è venuto a creare un nuovo status quo caratterizzato da un clima di tensione e da una perenne crisi diplomatica tra Occidente e Russia, a cui si aggiungono le sanzioni economiche reciproche. È la seconda guerra fredda. Il crollo dei rapporti con l’Occidente ha spinto Mosca a guardare verso Oriente dove ha trovato un’intesa tattica con Pechino. Con il perdurare della crisi, l’intesa tra Russia e Cina potrebbe diventare strategica passando dal piano economico a quello militare. Andrebbe così a costituirsi un autentico asse Pechino-Mosca in funzione anti-americana e anti-Nato.
In conclusione, chi esprime il desiderio di normalizzare i rapporti con la Russia non ha incontrato Putin in sogno. Nessuna fascinazione né volontà di fare dell’Italia un regime autoritario. Dire no alle sanzioni significa avere la consapevolezza che l’attuale clima da guerra fredda è molto pericoloso, sicché le sue conseguenze di lungo periodo sono imprevedibili.