
Chi scrive queste righe – che ha letto non solo gli articoli di Alberto Bagnai, ma anche i post intelligenti di Alessandro Greco – immaginava come probabile un accordo tra Movimento 5 stelle e Partito Democratico già al momento dell’annuncio del referendum costituzionale che poi si sarebbe tenuto il 4 dicembre 2016.
Ottobre, musata costituzionale.
Novembre, Giggino.
Inizio anno, crisi bancaria.
Primavera, Troika.— Luca Fantuzzi (@Luca_Fantuzzi) 14 giugno 2016
Ugualmente, a inizio anno, non faceva fatica – con un articolo su questo giornale – a presupporre un governo di programma fra le due forze politiche più LeU, qualora anche il PD – su LeU non aveva dubbi – avesse perso in maniera rovinosa le elezioni (come poi è stato, in misura anche maggiore a qualsiasi rosea previsione).
In entrambi i casi, però, sottostimava la capacità di Matteo Renzi di ipotecare la condotta del proprio partito e, soprattutto, di resistere a sconfitte epocali. Un perdente di successo: anche in questo caso, se il tentativo di Roberto Fico non andrà a buon fine sarà proprio per la recisa opposizione del Segretario e – forse – per la difficile situazione di salute di Giorgio Napolitano.
Quello che però il cronista non avrebbe mai immaginato è la banalità della tattica grillina e la facilità con cui larghi strati della base del Movimento hanno accettato la posizione di Di Maio. Il quale, in un video già mitologico, in sostanza accusa Salvini di non aver voluto chiudere un accordo per la paura di governare e, oltre a questo, a causa di non si sa bene quali torbidi ricatti da parte di Silvio Berlusconi (l’Espresso traccia il solco ma è il pentastellato che lo difende), salvo dimenticare – con una certa nonchalance – il proprio comportamento degli ultimi 15 giorni.
Mossa uno. Proposta a Salvini di rompere l’alleanza del centrodestra (ponendo un veto assoluto su Forza Italia, anche grazie alla stravagante sentenza di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia), in modo da mandare a gambe all’aria quattro o cinque giunte regionali, entrare in un governo di coalizione con un numero di parlamentari di molto inferiori a quelli grillini e, dulcis in fundo, sottoscrivere un accordo di programma iper-europeista in cui la scelta a favore dello status quo a Bruxelles si può leggere nero su bianco. In sostanza, proposta di trasformarsi in qualcosa a metà fra Gianfranco Fini e Angelino Alfano. Chissà come mai Salvini non avrà accettato un’opportunità del genere?
Mossa due. Proposta di governo a Martina sulla base di un documento programmatico che ricalca, per larghi tratti, proprio le idee del PD, senza condizioni, senza pregiudiziali, neppure quella (che pure subito dopo le elezioni era stata posta) della giubilazione di Renzi. Per chi ha perso le elezioni e, dagli ultimi sondaggi, continua a ridurre i consensi, tutto sommato un affarone, a tal punto da passare sopra ad anni di offese, invettive, veleni, spropositi da parte dello stesso Di Maio e di tutto l’establishment grillino.
Non nascondiamoci dietro a un dito.
Il Movimento 5 stelle è nato come strumento per intercettare il montante dissenso nei confronti delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, disinnescarlo tramite indicazione di falsi-problemi (la casta, la cricca, la corruzione, le scorte, i vitalizi, l’onestà), garantire il perpetuarsi di quelle stesse politiche, negli anni passati realizzate dal Partito Democratico.
Come poi la base grillina possa credere alla storia di un governo con la Lega fallito per l’impossibilità di tenere in maggioranza Berlusconi, pena l’impossibilità di un esecutivo di vero cambiamento, raccontata da chi si accinge a governare col partito che negli ultimi sei anni ha distrutto e impoverito l’Italia a colpi di Jobs Act, direttiva BRRD, fallimenti bancari, riforme pensionistiche, austerità, buona scuola e riforma della PA, è un tema che fuoriesce dalla politologia per addentrarsi nei misteriosi meandri della psiche umana.