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Occidente e Siria, i 3 punti che passeranno alla Storia

| 24 Aprile 2018 | ESTERI

di Alessandro Verdoliva

Dopo una iniziale escalation del conflitto in Siria con la scelta unilaterale (non appoggiata dall’Onu) da parte di USA, Regno Unito e Francia di attaccare il Governo di Assad, emerge pian piano come in realtà tutti quanti gli schieramenti in campo ne escano ognuno in qualche modo vincitore, o come minimo non con l’onore infranto. Macron si mette in testa ribadendo come la Francia sia nell’indole più profonda ancora uno Stato che pone se stesso prima di qualunque altro; Trump potrà vantarsi sui propri Tweet di  avere asfaltato quell’animale di Assad; May che sta disperatamente cercando di far rimanere a galla il Regno Unito sullo scacchiere internazionale dopo che si è definitivamente avviato verso il tramonto, tentando di trovare legittimazione in casa facendo scontrare le potenze mondiali; Putin potrà vantarsi di avere avuto i nervi saldi ed aver evitato il peggio pur proteggendo gli alleati e il infine il nome Assad verrà inciso negli annali arabi nella categoria “eroe che resistette contro l’imperialismo USA”. Nulla al mondo come una bomba americana sganciata in suolo arabo è fonte di legittimazione.

Ergo il conflitto sembrerebbe per il momento affievolirsi mancando quello smacco a cui solitamente si risponde con una azione di forza militare. Ciò che invece difficilmente svanirà sia dai libri di storia che dal mondo dei social media, che ormai fungono da memoria nonché termometro sociale globale, sono principalmente 2 punti.

1) Putin 1, Occidente 0.
Putin, da buon Judoka, per vincere si sta avvalendo della forza altrui: la legge. Sembra assurdo, ma in questo frangente di storia, gli Occidentali, grandi fautori e perenni divulgatori di democrazia e diritto, si sono ritrovati a fronteggiare con la barbarie delle armi uno schieramento opposto che invece sa combattere col potere delle leggi e dei circuiti istituzionali.
Alle diatribe diplomatiche, l’Occidente fa saltare il tavolo e si rimangia in poche ore decadi e decadi di proselitismo sullo Stato di diritto e sulla democrazia.
La legge, in pratica, è cosa pia e giusta solo quando si conforma alle nostre aspettative.

2) Procedura penale, voto: insufficiente.
Entrando più nello specifico del caso siriano, il quale in realtà funge da valvola di sfogo per i malumori fra Russia e Occidente, prendiamo in considerazione l’attacco a Ghouta e a Douma. Ciò che si sa per certo è che le potenze Occidentali sono sicure dell’esistenza di un attacco chimico. Ciò che invece ancora non si sa è l’autore dietro questo presunto attacco e quale fosse il movente.

Non abbiamo prove imparziali, non abbiamo l’arma del delitto, non abbiamo il movente e soprattutto non ci si è avvalsi neanche un organo giurisdizionale o di arbitrariato che, da che mondo è mondo, servono proprio a stabilire dove stia la ragione. Non c’è praticamente nulla per potere affermare con sicurezza titanica (poiché di sicurezza titanica si deve parlare dato stiamo trattando i rapporti fra potenze nucleari) che il governo siriano possa essere ritenuto il solo e il pieno colpevole dello sterminio dei suoi concittadini. Sostenere che Assad sia innocente sarebbe tuttavia commettere un gravissimo errore: è invece corretto affermare che si debba sostenere la sua presunta innocenza fino a quando non sarà dimostrato il contrario. Questo afferma infatti l’articolo 11 primo comma della DUDU (Dichiarazione Universale Diritti Umani): “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa“

Nei diritti interni dei singoli Stati v’è una sorta di maturità che ancora stenta a sbocciare nel diritto internazionale, questo si nota immediatamente dalla disparità di cura procedurale fra un caso di delitto interno e un caso di delitto internazionale. Il livello di sviluppo procedurale verte quasi esclusivamente su scontri politici dove alla base vi sono interessi ben maggiori. Non c’è principio di legalità, non c’è principio di astrattezza. Ripeto: non c’è nulla per potere rendere legittima una azione punitiva. Ad oggi nei rapporti internazionali, le sentenze si emettono con la stessa serietà e con la stessa accortezza procedurale con la quale si faceva giustizia in epoca pre-feudale.

Quando i diritti umani nuocciono più della barbarie.

E’ lecito uccidere dieci per salvarne uno?

In politica esiste il giusto e lo sbagliato? Ma soprattutto, un capo di governo deve attenersi più a dei principi astratti o più a dei principi pragmatici e relativi al contesto? Forse potremmo trovare risposta da due banali esempi di attualità: per salvaguardare i diritti umani violati vale la pena mettere le basi per un conflitto armato più ampio e potenzialmente più distruttivo? Guardiamo la situazione in Siria oggi. Oppure, altro esempio: per tutelare la vita di oppositori politici scesi in strada contro un governo, è lecito non solo togliere di mezzo quel governo ma anche spazzare via tutta la struttura governativa tale da lasciare il Paese in mano a guerre civili e anarchia (vedere Libia)?

Dando per assodati tutti i capi d’accusa che vengono rivolti ai dittatori di turno e dando quindi anche per certo che gli interventi occidentali siano delle vere guerre umanitarie, diventano davvero guerre legittime soltanto perché fatte per scopi etici senza badare alle conseguenza concrete? D’altro canto, è utile portare avanti azioni che direttamente, o che per volontario immobilismo, infliggano un male minore atto a tutelare lo Stato e il diritto? Machiavelli avrebbe probabilmente dato risposta affermativa. Oppure bisogna preferire scelte che nell’immediato sono morali senza pensare alle effettive conseguenze pratiche?

Questa è la principale differenza fra la responsabilità attribuibile a un capo di governo e un normale cittadino: la capacità di visione di insieme nel lungo termine.

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