
Ferdinand Knauss ha recentemente scritto un interessante articolo sui rischi – o, forse, opportunità – di dissoluzione dell’Area Euro che, a partire da uno studio, anch’esso assai recente, dell’Istituto di Finanza Cognitiva (Feri) di Francoforte, si risolve nella sostanza in un attacco a testa bassa alle riforme dell’Unione propugnate da Emmanuel Macron (delle quale, in questo modo, si certifica la morte, dopo alcuni mesi in cui il Presidente francese – complici le difficoltà interne della sig.ra Merkel – aveva pensato di poter giocare un ruolo attivo nell’UE).
Il punto politico è molto chiaro. La ragione vera della “fragilità concettuale, istituzionale ed economica” dell’Euro sarebbe rappresentata, fondamentalmente, dagli obiettivi contrastanti, dagli equivoci e dalle contraddizioni “concettuali e filosofiche” riscontrabili dell’azione dei due più importanti Paesi dell’UEM, cioè Germania (presentata come Paese federalista, votato all’economia di mercato, non interventista in economia) e Francia (macchiettisticamente vista come la patria del centralismo statalista e della discrezionalità amministrativa anche in campo economico). Contraddizioni che, in periodi di tensione, potrebbero sfociare in “pericolose linee di frattura e complessi fattori di rischio” tali da mettere a repentaglio l’esistenza della stessa Area Euro, soprattutto laddove la Francia continuasse a propugnare, almeno a parole, un più corposo budget dell’Unione e trasferimenti fra Stati membri.
“L’Unione monetaria è un «cantiere incompiuto» i cui maggiori «difetti di costruzione»… non sono stati risolti, ma soltanto messi in ombra” e potrebbero essere aggravati dalle “nuove opportunità di debito pubblico o, ancor più pericolosamente, dalla mera socializzazione dei rischi” che sarebbero richieste da Parigi, in contrasto con i principi di austerità ed eliminazione dei rischi da sempre propugnati da Berlino. A sostegno di tale visione, la solita vulgata della pubblicistica tedesca, rispecchiata anche nelle dichiarazioni di Hans-Werner Sinn, secondo cui le crisi dell’Eurozona sarebbero state superate rendendo il contribuente (rectius: il contribuente tedesco) una specie di “garante di ultima istanza” delle insolvenze altrui (Grecia, Spagna). Ricostruzione palesemente falsa – le banche francesi e tedesche sono state salvaguardate da eventuali perdite, in Grecia come in Spagna, dai generosi finanziamenti di molti Stati membri (fra cui anche l’Italia, che ha contribuito per 58 miliardi di Euro, prima di dover applicare il burden sharing ai propri Istituti in difficoltà) al Fondo Salva Stati ed al MES – che copre però alcuni nodi economici reali.
E siccome la lingua batte dove il dente duole, il nodo vero viene subito al pettine. L’articolo si scaglia con acrimonia soprattutto contro “l’azzardo morale”, che trova espressione, “nel caso estremo, nell’inganno deliberato sullo stato delle finanze pubbliche perpetrato dalla Grecia prima del suo ingresso nell’UEM”, ma che, più comunemente, deriva dalla “eterogeneità economica degli Stati membri per quanto riguarda la competitività, il debito e la flessibilità delle istituzioni e delle strutture”. Con conseguente fallimento del sistema dei saldi Target2: “originariamente inteso come sistema di compensazione interna dell’Eurozona per i flussi di cassa, in realtà è stato convertito in una specie di lettera di credito fuori controllo…, [in] prestiti per la creazione di [nuovo] denaro… È altamente improbabile che la Bundesbank tedesca, di fatto il principale prestatore, sarà mai in grado di reclamare [i suoi crediti] nei confronti dei paesi dell’Europa meridionale”. Con buona pace delle letterine minatorie di Mario Draghi.
Entro questo schema ermeneutico (che ad esempio vede nel MES una rottura dei principi cardine dell’UEM fissati a Maastricht, tanto da far concludere che se “la violazione aperta delle regole non si traduce in una punizione ma, al contrario, nel supporto di altri giocatori”, il risultato è “un fenomeno di azzardo morale”, così che “le presunte azioni di stabilizzazione alla fine portano solo a una nuova instabilità”), la previsione addirittura di trasferimenti fra Stati (cioè dalla Germania alla periferia) non è considerata molto diversamente dal comportamento di chi offre vino a un alcolista. (È risaputo infatti che il popolo greco, o i lavoratori spagnoli e portoghesi, o le famiglie italiane – cicale sulle spalle delle formiche teutoniche – non hanno dovuto subire alcunché in questo ultimi decennio, N.d.R.).
La soluzione a questa assurda situazione, a rigore di logica, non può che essere una, quella cioè ipotizzata dal prof. Bagnai più di cinque anni or sono: il collasso controllato dell’UEM a seguito dell’uscita (“in vece” della Germania, impossibilitata a questo passo da evidenti motivi politici) di alcuni Stati membri che, secondo il Feri, dovrebbero essere piuttosto piccoli ma economicamente forti, e per i quali – “a un certo punto” – “l’incentivo a lasciare diverrebbe più forte del beneficio di rimanere in un’Unione che impone loro obblighi crescenti”. In mancanza, conclude lo studio, per tenere in piedi il sistema i trasferimenti si faranno (e, dunque, Macron potrebbe avere sul piano sostanziale una rivincita della disfatta che si appresta a subire sul piano politico), e rappresenteranno per la Germania l’equivalente di una “epidemia di peste e di colera”, soprattutto quando, nel medio termine, una popolazione invecchiata chiederà alle nuove generazioni pensioni che un sistema intimamente deflazionista e con tassi geneticamente attorno allo zero non potrà garantire.
Al di là delle inesattezze teoriche, di alcuni errori economici marchiani, delle solita vieta propaganda delle élites tedesche (che è speculare a quella delle élites italiane: lì i vincitori di Maastricht devono convincere il popolo tedesco di essere vittima dell’UEM per non dividere con i lavoratori il vero “dividendo dell’Euro”; qui i viceré fedeli agli occupanti devono convincere gli italiani di essere stati salvati da Bruxelles, per evitare un processo sommario per alto tradimento e attentato alla Costituzione), ci troviamo di fronte a una confessione in piena regola (e, si sa, est confessio regina probationum): gli economisti tedeschi hanno finalmente preso coscienza che l’Euro non è sostenibile nel lungo periodo senza trasferimenti fra Stati, che l’esigenza di tali trasferimenti è stata per il momento mitigata dalla monetizzazione spuria del debito da parte della Bce col quantitative easing, che i saldi Target 2 derivanti da tale operazione – crediti o meno che siano in senso tecnico – non sono de facto recuperabili, che le regole dell’Eurozona sono intrinsecamente deflattive e, dunque, nel medio periodo mettono a repentaglio il sistema finanziario anche del Paese economicamente più forte.
Prepariamoci a uscire. Manca solo un appiglio. Potrebbe essere il governo Salvini.